Luglio 19, 2018 Caterina Giojelli
A sei anni dalla morte, la diocesi di Roma ha aperto la causa di beatificazione della giovane donna che rinunciò alle cure del cancro per far nascere suo figlio
Quando comprenderai che un amore è veramente tuo? Quando sarai libero di perderlo. Perché quando hai la libertà di perderlo, ti accorgi che quello è un dono di Dio. Ecco, Chiara Corbella Petrillo era capace di cose così, di vivere una libertà esagerata come questa. «Sei pronta?». «Abbastanza»: aveva risposto così a suo padre quel giorno di settembre del 2008 poco prima di andare all’altare. Diventò sposa di Enrico in autunno e morì un’estate di quattro anni dopo: era il 13 giugno, aveva 28 anni e aveva appena dato la vita per il figlio portato in grembo.
L’EDITTO. Ora la diocesi di Roma pubblica l’Editto che annuncia l’apertura della causa di beatificazione e canonizzazione, perché Chiara è morta compiendo un gesto che solo altre donne proclamate sante dalla Chiesa hanno compiuto prima di lei, ma ha anche vissuto in forza del cielo, sul ciglio della tomba, «è un privilegio sapere in anticipo di morire e… uno così può dire ti voglio bene!».
Tutti conoscono Chiara, anche chi non l’ha conosciuta: la sua testimonianza di fede limpida, ruspante, romana, ha fatto il giro del mondo contagiando un popolo pazzesco. Il suo sorriso è un assaggio di paradiso, il suono del violino un anticipo di vita eterna, vanno raccontando in molti della bellissima ragazza, per due anni divorata da un raro tumore alla lingua e che quando seppe di aspettare Francesco rinunciò alle cure per portare avanti la gravidanza.
I PRIMI DUE BAMBINI. Alla sua prima figlia, Maria Grazia Letizia, era stata diagnosticata una anencefalia: la bimba nacque e visse circa 40 minuti, battezzata e amatissima dai suoi genitori. L’ecografia del secondo, Davide Giovanni, stabilì che il bimbo sarebbe nato privo degli arti inferiori, una condizione incompatibile con la vita per i medici, ma non per Chiara che invece di abortire diede alla luce il suo bambino, battezzandolo e pregando durante i pochi minuti che riuscì a sentirlo respirare. Perché Chiara era certa, Siamo nati e non moriremo mai più è il titolo della sua biografia edita da Porziuncola che ha fatto il giro del mondo.
FRANCESCO E IL DRAGO. E certa doveva essere al quinto mese di vita in pancia del suo Francesco, quando il cancro («il drago», come lo chiamava lei) la aggredì con furia. «Per la maggior parte dei medici – ha scritto Chiara – Francesco era solo un feto di sette mesi. E quella che doveva essere salvata ero io. Ma io non avevo nessuna intenzione di mettere a rischio la vita di Francesco per delle statistiche per niente certe che mi volevano dimostrare che dovevo far nascere mio figlio prematuro per potermi operare». Chiara tentò un nuovo intervento dopo la nascita, dunque la chemioterapia e la radioterapia, perse la vista all’occhio destro, raggiunse per l’ultimo pellegrinaggio Medjugorje, proprio dove, nell’estate del 2002, aveva incontrato quel ragazzo per cui tanto penò prima di riuscire a sposarselo, e dove tornò tante volte a chiedere di vivere «la grazia della grazia» prima partorire Francesco. Capì di essere diventata una malata terminale il mercoledì santo del 2012, quando ricevette l’esito della biopsia al fegato: «Sai, Cri – confessò all’amica Cristiana – ho smesso di voler capire, altrimenti si impazzisce. E sto meglio. Ora sto in pace, ora prendo quello che viene. Lui sa quello che fa e fino ad ora non ci ha mai deluso. Poi capirò. […] Poi per ogni giorno c’è la grazia. Giorno per giorno. Devo solo fare spazio».
«FIDATI!». Chiara è morta a casa sua, a Pian della Carlotta, a Manziana, dopo aver salutato tutti, parenti ed amici, uno a uno, dopo aver detto a tutti «ti voglio bene». E non prima di aver scritto una lettera per il primo compleanno di suo figlio Francesco: «Lo scopo della nostra vita è amare ed essere sempre pronti ad imparare ad amare gli altri come solo Dio può insegnarti. […] Qualsiasi cosa farai avrà senso solo se la vedrai in funzione della vita eterna. Se starai amando veramente te ne accorgerai dal fatto che nulla ti appartiene veramente perché tutto è un dono. […] Ci siamo sposati senza niente mettendo però sempre Dio al primo posto e credendo all’amore che ci chiedeva questo grande passo. Non siamo mai rimasti delusi. […] Sappiamo che sei speciale e che hai una missione grande, il Signore ti ha voluto da sempre e ti mostrerà la strada da seguire se gli aprirai il cuore… Fidati, ne vale la pena!».
«QUALCOSA CHE NON POSSIAMO PERDERE». Vestita da sposa, con in mano il rosario e un piccolo mazzo di lavanda, Chiara venne deposta nella tomba sul ciglio della quale aveva vissuto in forza di Dio, circondata da un numero pazzesco di persone giunte i suoi funerali, celebrati il 16 giugno, giorno del Cuore Immacolato di Maria. E da quel sacrificio è nata una compagnia di cui ora si dovrà scrivere, parlare, che dovrà raccontarsi e raccontare. Perché ora la Diocesi di Roma invita tutti a comunicare «o a far pervenire al Tribunale Diocesano del Vicariato di Roma tutte quelle notizie, dalle quali si possano in qualche modo arguire elementi favorevoli o contrari alla fama di santità della Serva di Dio». E perché, come disse il cardinale Agostino Vallini il giorno delle esequie di Chiara, «ciò che Dio ha preparato attraverso di lei, è qualcosa che non possiamo perdere».
The holy sacrifice of Chiara
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