La Relazione finale del Sinodo non sembra avere chiarito in assoluto tale questione e sembra che il problema sia stato spostato in ambito pastorale. I Vescovi hanno concluso il loro lavoro, come sappiamo, formulando una Relazione Finale consegnata al Santo Padre Francesco al quale spetta, l'ultima parola. Per il momento, prendiamo atto che Francesco non si è ancora pronunciato.
Esaminiamo nel frattempo qual'è il pronunciamento dei Vescovi su questo argomento molto sentito.
Al punto 84 vi si legge:
«I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità»
Al punto 85 della relazione si legge:
«Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido» (FC, 84). È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno.
Inoltre, non si può negare che in alcune circostanze «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» (CCC, 1735) a causa di diversi condizionamenti. Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla «imputabilità soggettiva» (Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, 2a). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi.»
Come si può notare, la Relazione non contiene una puntuale indicazione del comportamento che devono tenere questi battezzati anche se appare chiara una diversa lettura del Magistero rispetto al passato.
Da una oggettiva situazione di peccato si passa ad una situazione soggettiva di non imputabilità ed anche, conseguentemente, di mancanza di colpa.
I padri utilizzano le parole "discernimento pastorale" facendo intendere che - se Il Papa accettasse la proposta così formulata - sarà cura dei Vescovi accertare caso per caso, le cause di imputabilità e di conseguente peccato e mancanza di quello stato di grazie che deve precedere colui che si accosta alla Santa Eucarestia.
In attesa del pronunciamento finale del Santo Padre, ci sia consentito fare alcune riflessioni e puntualizzazioni sulla Dottrina della Chiesa allo stato attuale.
Il Catechismo di Pio X, detto anche Catechismo Maggiore, prescriveva:
544. Qual peccato commette chi riceve uno dei sacramenti dei vivi sapendo di non essere in grazia di Dio?
Chi riceve uno dei sacramenti dei vivi (*), sapendo di non essere in grazia di Dio, commette un grave sacrilegio.
Il Catechismo della Chiesa, (compendio) ci aiuta al discernimento dello stato di peccato grave.
Così è stabilito:
347. Quali sono i peccati gravemente contrari al Sacramento del Matrimonio?
Essi sono: l'adulterio; la poligamia, in quanto contraddice la pari dignità tra l'uomo e la donna, l'unicità e l'esclusività dell'amore coniugale; il rifiuto della fecondità, che priva la vita coniugale del dono dei figli; e il divorzio, che contravviene all'indissolubilità.
Fedele al Signore, la Chiesa non può riconoscere come Matrimonio l'unione dei divorziati risposati civilmente. «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio» (Mc 10,11-12). Verso di loro la Chiesa attua un'attenta sollecitudine, invitandoli a una vita di fede, alla preghiera, alle opere di carità e all'educazione cristiana dei figli. Ma essi non possono ricevere l'Assoluzione sacramentale, né accedere alla Comunione eucaristica, né esercitare certe responsabilità ecclesiali, finché perdura tale situazione, che oggettivamente contrasta con la legge di Dio.
Noi battezzati e tutti fratelli in Gesù Cristo, preghiamo insieme, affinché il santo Padre decida nella Verità Rivelata, perché siamo anche consapevoli che la possibilità di dettare norme nuove aderendo alla trasformazione della società religiosa, incontra un limite nella indisponibilità delle norme divine a qualsiasi mutamento che non sia riconducibile al volere di Dio stesso.
Noi sappiamo, infine, che l'ordinamento religioso deve fare perno in ultima analisi, sul Diritto divino che, essendo dettato da un'Autorità più alta di ogni autorità umana, esige un'obbedienza assoluta e richiede di essere rispettato anche quando confligge con le norme poste dal potere umano: magis oportet oboedire Deo quam hominibus.
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Questi cinque sacramenti, cioè la Cresima, l'Eucaristia, l'Estrema Unzione, l'Ordine Sacro ed il Matrimonio si chiamano sacramenti dei vivi, perché quelli che li ricevono, devono essere senza peccato mortale, cioè già vivi alla grazia santificante.
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