venerdì 13 novembre 2015

Così Bergoglio manipola anche don Camillo (ma lui è un prete cattolico, non è come don Francesco-Chichì)

Non c’è da stupirsi che Bergoglio, a Firenze, abbia manipolato e strumentalizzato anche il don Camillo di Guareschi, dal momento che lo fa pure col Vangelo, facendogli dire l’opposto di quello che c’è scritto (per esempio su Gesù, i farisei e i temi morali).

Ma è comico che Bergoglio, per intimare alla Chiesa italiana di stare alla larga dalla politica (cioè per intimarle di inchinarsi al Potere e non disturbare il manovratore), indichi come esempio don Camillo che faceva l’esatto opposto.

Don Camillo infatti è il simbolo di quelle migliaia di coraggiosi preti italiani che, anche rischiando la vita, prima e dopo il 1948, insieme a Pio XII, nella battaglia epocale contro il comunismo del dopoguerra, hanno letteralmente salvato l’Italia, guidando la propria gente fin dentro la cabina elettorale, per consegnare il Paese alla libertà e all’Occidente. Salvando la cristianità e scongiurando l’arrivo al potere del Pci di Togliatti e di Stalin.

MANIPOLAZIONE

Del resto il modo in cui Bergoglio cita don Camillo è del tutto equivoco: ne fa quasi un cattocomunista.

Ecco le sue testuali parole: “pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente”.

Da queste parole sembra che don Camillo sia stato un timido assistente spirituale della cellula del Partito comunista guidata da Peppone e pare quasi che abbia accompagnato con la preghiera l’indottrinamento comunista del popolo. E’ un grottesco stravolgimento dei personaggi guareschiani.

Don Camillo – come la Chiesa di Pio XII – aveva chiaro che l’impero comunista che, dopo il 1945, si era divorato mezza Europa fino a Trieste, e minacciava direttamente l’Italia, era la più potente e sanguinaria incarnazione anticristica che la Chiesa avesse conosciuto in duemila anni.

Per questo è ridicolo dire che don Camillo “fa coppia” con Peppone: erano piuttosto come due pugili che se le davano di santa ragione, perché don Camillo – lungi dal limitarsi alla sola preghiera – combatteva palmo a palmo contro la devastante propaganda comunista, fino a tentare di strappare al Partito (e riportare alla Chiesa) lo stesso Peppone e i suoi familiari.

In effetti ci vorrebbero davvero, anche adesso, dei nuovi don Camillo che, con la sua stessa energia, difendessero il popolo dalle nuove (disumane) ideologie di oggi, figlie di quelle di ieri.

AUTOGOL BERGOGLIANO

Torniamo a Bergoglio. Dopo quella frase equivoca, ha indicato ad esempio ciò che don Camillo dice di sé: “sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie e sa ridere con loro”.

Ottima citazione. Purché si aggiunga che è l’esatto contrario di quello che fa Bergoglio, il quale disprezza i cristiani, specie i più eroici, arrivando perfino a rifiutarsi di ricevere in udienza privata i poverissimi familiari di Asia Bibi (la madre cristiana condannata a morte in Pakistan per la sua fede: per lei Bergoglio non ha mai voluto spendere nemmeno una parola).

Mentre lo stesso Bergoglio – nel signorile residence in cui vive – continua a ricevere amabilmente e a conversare con il ricco e potente mangiapreti Scalfari, al quale confida idee fuori dalla tradizione cattolica. E quello – felice – ricambia facendogli monumenti su “Repubblica”.

Anche il Bergoglio che – tutto soddisfatto – si porta in Vaticano il regalo terribile di Morales, con Gesù Cristo sulla falce e martello, avrebbe fatto inorridire don Camillo.

Sia chiaro, don Camillo conosceva bene la miseria che induceva tanta povera gente a credere all’illusorio paradiso promesso dal comunismo e comprendeva la loro ansia di riscatto sociale (infatti al pretino progressista che esalta la povertà ribatte: “la povertà è una disgrazia, non un merito”), ma combatteva il comunismo perché sapeva che era la più terribile truffa ai danni dei poveri. E predicava la regalità sociale di Cristo come l’unico ideale su cui costruire un mondo più giusto.

IL COMUNISMO

L’Introduzione a “Il compagno don Camillo” (dove si narra come il prete della Bassa vada in incognito in Urss e combini sfracelli), è scritta nel 1963, fra i fasti del miracolo economico e i “nefasti” della “letteratura social-sessuale di sinistra”, come la chiama Guareschi che mette in guardia – in quell’introduzione – proprio da chi, in Italia, tresca coi comunisti: “si cerca di combinare un orrendo pastrocchio di diavolo e d’Acquasanta, mentre una folta schiera di giovani preti di sinistra (che non somigliano certo a don Camillo) si preparano a benedire, nel nome di Cristo, le rosse bandiere dell’Anticristo”.

Guareschi dedica quel libro: “ai soldati americani morti in Corea (nella guerra contro i comunisti, ndr), agli ultimi eroici difensori dell’Occidente assediato (…). E lo dedico ai soldati italiani morti combattendo in Russia e ai sessantatremila che, caduti prigionieri nelle mani dei russi, sono scomparsi negli orrendi Lager sovietici e di essi ancora s’ignora la sorte. Ad essi è dedicato, in particolare, il capitolo decimo intitolato: ‘Tre fili di frumento’. Questo mio racconto” aggiunge Guareschi “è dedicato anche ai trecento preti emiliani assassinati dai comunisti nei giorni sanguinosi della ‘liberazione’, e al defunto Papa Pio XII che fulminò la Scomunica contro il comunismo e i suoi complici. È dedicato altresì al Primate d’Ungheria, l’indomito Cardinale Mindszenty e all’eroica Chiesa Martire. A Essi è particolarmente dedicato il capitolo ottavo intitolato: ‘Agente segreto di Cristo’ ”.

Siamo agli antipodi del bergoglismo. Anche dal punto di vista umano, don Camillo è l’opposto esatto di Bergoglio.

Da una parte c’è il prete italiano formato sul Catechismo di san Pio X che, in nome di Cristo, con audacia e generosa umanità, si oppone dal pulpito e in piazza al grande inganno del comunismo che ha strappato Dio dal cuore del popolo, sostituendolo con un’ideologia disumana.

Dall’altra c’è il gesuita furbo che in Sudamerica vive tranquillo sotto i colonnelli e poi, passata quella stagione, civetta con la Teologia della liberazione (versione argentina) e a Roma col mondo scalfariano annacquando il Vangelo e svendendo i “principi non negoziabili” per compiacere i nemici della Chiesa.

DON CHICHI’

Guareschi era furibondo con i guasti del postconcilio e nell’ultimo libro – “Don Camillo e i giovani d’oggi” – racconta lo scontro di don Camillo con i preti progressisti come don Chichì, il cui nome – guarda caso – era proprio “Francesco”.

Ecco la descrizione di Guareschi: “Il pretino progressista inviato dalla Curia a rimettere in carreggiata don Camillo, si chiamava don Francesco ma, per quella sua personcina asciutta e nervosa, per quel suo clergyman attillatino, per quel suo continuo agitarsi e scodinzolare, era stato ribattezzato dalla gente don Chichi. Un nomignolo che non significa niente di preciso, ma rende perfettamente l’idea. Don Chichì, demistificata esteriormente la chiesa, aveva sferrato la sua offensiva in profondità, con una serie di prediche che erano una continua, ardente denuncia della malvagità e delle colpe dei ricchi. Parecchia gente disertò la Messa”.

Guareschi vedeva lontano. Infatti i disastri del postconciclio allontanarono tanta gente dalla Chiesa anche in Italia, ma soprattutto in Sudamerica dove i preti alla don Chichì e alla Bergoglio presero il sopravvento.

Lì, parlando più da (cattivi) sindacalisti che da sacerdoti di Cristo, da decenni hanno perso il popolo, con una drammatica emorragia di fedeli verso le sette o altre confessioni.

Forte di questo fallimento pastorale oggi Bergoglio ritiene di dare lezioni a una Chiesa come quella italiana che invece – grazie a Giovanni Paolo II e a Ratzinger – ha tenuto ed è tuttora una Chiesa di popolo. E’ il famoso adagio: chi sa fa, chi non sa insegna. Bergoglio, avendo già fallito in Argentina, vuole imporre a tutta la Chiesa la sua ricetta. Per arrivare al naufragio.

 Antonio Socci

Post scriptum: DITEMI SE QUESTO DON CHICHI NON è PROPRIO BERGOGLIO. ECCO UN BRANO CHIARISSIMO DI GUARESCHI:

Il pretino progressista, don Chichì, sentenzia rivolgendosi al rude parroco della Bassa: “Don Camillo, la Chiesa è una grande nave che, da secoli, era alla fonda. Ora bisogna salpare le ancore e riprendere il mare! E bisogna rinnovare l’equipaggio: liberarsi senza pietà dei cattivi marinai e puntare la prua verso l’altra sponda. E’ là che la nave troverà le nuove forze per ringiovanire l’equipaggio. Questa è l’ora del dialogo, reverendo!”

Ma don Camillo risponde: “Litigare è l’unico dialogo possibile coi comunisti. Dopo vent’anni di litigi, qui siamo ancora tutti vivi: non vedo migliore coesistenza di questa. I comunisti mi portano i loro figli da battezzare e si sposano davanti all’altare mentre io concedo ad essi, come a tutti gli altri, il solo diritto di obbedire alle leggi di Dio. La mia chiesa non è la grande nave che dice lei, ma una povera piccola barca: però ha sempre navigato dall’una all’altra sponda. (…) Lei allontana molti uomini del vecchio equipaggio per imbarcarne di nuovi sull’altra sponda: badi che non le succeda di perdere i vecchi senza trovare i nuovi. Ricorda la storia di quei fraticelli che fecero pipì sulle mele piccole e brutte perché erano sicuri che ne sarebbero arrivate di grosse e bellissime poi queste non arrivarono e i poveretti dovettero mangiare le piccole e brutte?”


Da “Libero”, 12 novembre 2015

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