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lunedì 13 marzo 2017

Bergoglio: l’Apoteosi del Soggettivismo Emozionalista [3]

bergoglio ridens

Terza parte

Dio non è cattolico
Una delle frasi choc di papa Francesco è “Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio” (A. M. Valli, 266. Jorge Mario Bergoglio. Franciscus P. P., Macerata, Liberilibri, 2107, p. 13, nota 21).
Ora “cattolico” significa “universale”. La “cattolicità è la terza nota della Chiesa cattolica, come recita il Credo Niceno-Costantinopolitano. Infatti la Chiesa di Cristo (e quindi di Dio, poiché Cristo è il Verbo Incarnato, vero Dio e vero uomo) è l’umanità socialmente e soprannaturalmente organizzata in Cristo, che per natura sua abbraccia tutti gli individui della stirpe umana (se non in atto, almeno in potenza) ed è pertanto universale, ossia cattolica2Se Dio non fosse universale o “cattolico”, la Chiesa da Lui fondata non sarebbe cattolica e il Credo Niceno-Costantinopolitano sarebbe sbagliato, il che è impossibile perché in esso si trova infallibilmente compendiata tutta la fede della Chiesa.
La Rivelazione stessa ci presenta la Chiesa come il regno di Dio su tutta la terra (cfr. le parabole del “regno”3) sino alla fine del mondo (Gv., XX, 21; Mt., XXVIII, 18-19) ed è per questo che la Chiesa è detta “cattolica”, ossia universale. La Chiesa è, quindi, la continuazione su questa terra del Verbo Incarnato, è il suo Corpo Mistico (Rom., XII, 4-6;1 Cor., XII, 12-27; Ef., IV, 4), che attua nell’umanità intera l’opera della Redenzione divina. Ora l’unione dell’umanità redenta (almeno in potenza) in Cristo abbraccia tutti gli uomini ed è universale o “cattolica”.
Inoltre si riconosce la vera Chiesa di Cristo a partire dalle quattro note (tra cui la “cattolicità”)4 e siccome i fedeli che si appropriano del nome di cristiani sono i Protestanti, gli Scismatici detti “Ortodossi” e i Cattolici, la vera Chiesa di Cristo è quella “cattolica”. Negare che Dio sia “cattolico” porta a negare la terza nota della Chiesa di Cristo come è rivelata nel Vangelo e come è definita dalla Chiesa (Credo Niceno-Costantinopolitano;Concilio Vaticano I, DB, 1794). Infatti il Protestantesimo manca di “cattolicità” o universalità, poiché è diviso in moltissime sette, che non sono presenti in modo veramente cospicuo e simultaneo su tutto l’universo. Lo stesso si può dire delle chiese scismatiche dette “ortodosse”, poiché sono ristrette alle regioni orientali dell’Europa.
Infine quanto alla nozione stessa di Dio, sia conosciuto col lume della sola ragione naturale5 come Causa prima ed universale di tutto il mondo, sia conosciuto grazie alla Rivelazione soprannaturale6, sia definito dogmaticamente e infallibilmente dal magistero della Chiesa7 si può dire che Egli è la Causa prima, trascendente e incausata di tutto l’universo e quindi è universale, infinito, onnipresente e “cattolico”.
Dunque asserire che Dio non è “cattolico”, implicitamente significa negare la Redenzione universale della SS. Trinità tramite il Verbo Incarnato8.
Valli conclude giustamente: “L’affermazione di Francesco dà un’ulteriore formidabile spallata all’idea che la Chiesa, proprio in quanto cattolica, sia custode della verità e sembra iscriverla al partito del relativismo” (op. cit., p. 172).
L’accoglienza
Giustamente nota Valli che “accoglienza è un termine troppo vago e generico. Che significa accogliere? Chi accogliere? E come? La soluzione è aprire le porte o piuttosto impedire che la gente parta? Continuando ad aprire le porte, non si favorisce forse la fuga? I problemi vanno risolti nei Paesi d’origine dei migranti, lavorando perché le condizioni di vita migliorino nel loro Paese. Lanciare appelli generici rischia di fare più male che bene alla causa dell’accoglienza” (op. cit., p. 92).
Inoltre l’Europa deve difendere legittimamente la sua civiltà. Infatti “come cristiani non possiamo dimenticare che la civiltà europea si è salvata grazie a chi si è arroccato in monasteri e in abbazie fortificate. E se i nostri antenati, in alcuni momenti cruciali [Poitiers, Lepanto, Vienna, ndr] non avessero usato anche la forza, ora non saremmo ciò che siamo. […]. L’Europa a più riprese si è difesa, eroicamente, contro chi tentò di farne terra di conquista religiosa […] più volte ha fatto da barriera all’islam. L’accoglienza indiscriminata di cui parla il Papa non può essere una soluzione […], l’accoglienza non può diventare un assoluto” (op. cit., pp. 92-93).
S. Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica (I-II, q. 105, a. 3) spiega che “con gli stranieri ci possono essere due tipi di rapporto: l’uno di pace, l’altro di guerra” (in corpore).
Egli porta l’esempio degli ebrei che nella Vecchia Alleanza avevano tre occasioni per vivere in modo pacifico con gli stranieri: 1°) quando gli stranieri passavano nel loro territorio come viandanti; 2°) quando gli stranieri emigravano nella Terra Santa per abitarvi come forestieri; in questi due casi la Legge giudiziale imponeva precetti di misericordia: “Non affliggere lo straniero”9 e “Non darai molestia allo straniero”10; 3°) quando degli stranieri volevano passare totalmente nella collettività degli ebrei, nel loro rito e nella loro religione. In questo terzo caso si procedeva con ordine. Innanzi tutto non li si accoglieva sùbito come compatrioti e correligionari.
Pure Aristotele insegnava che “si possono considerare come cittadini solo quelli che iniziarono ad essere presenti nella Nazione ospitante a partire dal loro nonno” (Politica, libro III, capitolo 1, lezione 1).
Questo terzo punto è quello che più ci interessa. Infatti accogliendo gli stranieri e non avendo essi ancora un forte amore del bene pubblico della Nazione che li ospita, potrebbero nuocere alla Nazione. Perciò sono considerati come cittadini integrati solo gli stranieri di terza generazione, ossia insediati nella Nazione a partire dal nonno.
Questa è una delle parti ancora attuali della Legge giudiziale, che ci può chiarire le idee sull’accoglienza dei musulmani, i quali sbarcano a frotte in Italia e vi si insediano.
Accogliere milioni di musulmani che non vogliono integrarsi potrebbe nuocere alla Nazione. Il cardinal Biffi nel 1999 disse che se l’Europa non fosse ridiventata cristiana sarebbe stata islamizzata.
In questo caso gli insegnamenti dell’Angelico ci consiglierebbero di non accogliere gli immigrati sùbito come compatrioti e specialmente correligionari, anche perché oggi essi sono molto fermi nell’osservanza della religione islamica e non hanno nessuna voglia di integrarsi (con delle eccezioni che confermano la regola) nella cultura e religione nostra, ma anzi le detestano e vorrebbero distruggerle.
Purtroppo gli uomini di Chiesa pensano e agiscono in maniera diametralmente opposta ai consigli dati da S. Tommaso.
È chiaro che per l’Angelico si può permettere agli stranieri, che sono di passaggio nella Nazione (se sono pacifici e se si integrano nella cultura e nella religione del Paese che li accoglie), di restarvi.
Bergoglio e l’islam
L’islam nega la divinità di Cristo e la Trinità delle Persone nell’unità della sostanza, cioè misconosce i due dogmi principali del Cristianesimo.
Inoltre come nota Valli, citando il famoso islamologo padre Samir Khalil Samir, Maometto ha fatto più di 60 guerre. “Ora se Maometto è il modello eccellente del Corano, non sorprende che certi musulmani usino anche la violenza ad imitazione del fondatore dell’islam. […]. La violenza è nel Corano. Il Papa, nel sostenere che il vero islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongano ad ogni violenza, purtroppo non descrive una realtà, ma esprime un desiderio” (op. cit., p. 103).
Inoltre quando Francesco paragona l’Isis all’invio degli Apostoli per convertire tutto il mondo da parte di Gesù (op. cit., p. 104, nota n. 78) fa un paragone che non sta in piedi. Valli risponde giustamente: “ogni religione, compresa quella cristiana, può essere usata in modo fanatico e violento. Ma sostenere che il cristianesimo e l’islam, siano, in questo senso, speculari, non è corretto, perché il Nuovo Testamento e il Corano non sono la stessa conquista fisica, il compito di evangelizzazione assegnato da Gesù agli Apostoli snatura completamente il Vangelo” (op. cit., p. 105)
Piacere al mondo
Nel marzo 2016 un sondaggio Gallup condotto in 64 Nazioni sentenzia: “papa Francesco è il leader più popolare al mondo. Cattolici ed ebrei sono i gruppi religiosi con la migliore opinione sul Pontefice. […]. Papa Francesco è un leader che trascende la propria religione” (op. cit., p. 141).
Valli nota che “una grande popolarità può anche spingerti a dire e fare, consapevolmente o meno, ciò che il mondo vuole. […]. Il prezzo è alto soprattutto sul piano dottrinale. E la barca di Pietro, senza un nocchiero dottrinalmente avveduto, rischia di incagliarsi facilmente o, peggio, di finire sugli scogli della modernità. […]. Nel momento in cui un Papa, come nel caso di Francesco, piace tanto a coloro che non hanno mai nascosto la loro lontananza e ostilità dalla Chiesa, non è legittimo interrogarsi su ciò che il successore di Pietro va predicando?” (op. cit., pp. 143-144).
Conclusione
Alla fine del suo libro Aldo Valli fa un sunto circa le cose che lasciano perplessi su Bergoglio in quanto Papa: 1°) il rischio di dar nascita ad uno stile ecclesiale “arbitrario”, che va sostituendo quello della dottrina; 2°) una certa mancanza di competenza dottrinale e teologica o peggio il disinteresse per la dottrina e la teologia a vantaggio della pastorale, dell’esortazione e della prassi; 3°) la tendenza a cedere ai richiami della popolarità e del sentire comune.
Invece la pastorale deve avere come suo principio e fondamento la teologia dogmatica e morale. Gesù è Maestro e poi Pastore e Sacerdote. Infatti prima insegna la verità e il Vangelo, poi indica i Comandamenti da seguire per arrivare in Paradiso ed infine dà agli uomini la grazia santificante, tramite i sacramenti, per percorrere la strada che vi porta.
I fedeli hanno bisogno di una strada sicura, di una dottrina e di una morale certa per percorrere la via ad Patriam. Hanno bisogno di una “roccia” su cui poggiarsi, una roccia che dia loro stabilità, unità, fermezza e fondamento, tolta la quale tutto crolla e sprofonda nell’abisso del nulla. Il card. Sarah ha detto che “l’ingiustizia più grande è dare ai bisognosi soltanto cibo, mentre hanno bisogno di Dio” (op. cit., p. 191, nota n. 153).
Alla fine di quanto riportato nel libro di Aldo Valli si può paragonare il pontificato di Francesco I alla “cultura” pop, che esercita l’intelligenza a vuoto, ossia egli pensa, parla ed agisce senza oggetto e senza scopo. Infatti la cultura pop si contraddistingue come unacultura del fare piuttosto che del sapere, dove per lasciare spazio alla spontaneità si preferisce non sapere, dove la pratica conta più che la teoria. Il pop riesce e sfondare, in Italia come altrove, nonostante la barriera linguistica dell’inglese. Il motivo risiede probabilmente nel fatto che il significato della parola è l’ultima cosa che si coglie. Questa dismissione del significato della parola spiega quel desiderio di identificarsi nella pop star di turno che domina attualmente nel mondo cattolico e che è Jorge Mario Bergoglio. Il collante di questa grande olà è un vago sentimento, molto, troppo, anteriore a fede, dottrina e morale. Eppure la pratica del cattolicesimo ha sempre richiesto l’esercizio dell’intelletto e della volontà.
Tuttavia non perdiamoci di coraggio. Gesù ha promesso solennemente: “Le porte degli inferi non prevarranno” (Mt., XVI, 18) e la Madonna a Fatima ha detto: “Alla fine il mio Cuore immacolato trionferà!”. I Padri hanno parlato delle crisi che la Chiesa avrebbe patito nel corso dei secoli, ma ci hanno rassicurato.
San Beda il venerabile ha scritto: «In questo passo del Vangelo di Marco (VI, 47-56) è scritto giustamente che la Nave (ossia la Chiesa) si trovava nel mezzo del mare, mentreGesù stava da solo sulla terra ferma: poiché la Chiesa non solo è tormentata ed oppressa da tante persecuzioni da parte del mondo, ma talvolta è anche sporcata e contaminata di modo che, se fosse possibile, il suo Redentore in queste circostanze, sembrerebbe averlaabbandonata completamente» (In Marcum, cap. VI, lib. II, cap. XXVIII, tomo 4) e Sant’Ambrogio di Milano: «La Chiesa è simile a una nave che viene continuamente agitata dalle onde e dalle tempeste, ma non potrà mai naufragare perché il suo albero maestro è la Croce di Gesù, il suo timoniere è Dio Padre, il custode della sua prua lo Spirito Santo, i suoi rematori gli Apostoli» (Liber de Salomone, c. 4).
La conclusione, quindi, mi pare ovvia: «il rimedio ad un male così grande come “un Papa scellerato” e alla crisi nella Chiesa in tempi di caos è la preghiera e il ricorso all’onnipotente assistenza divina su Pietro, che Gesù ha promesso solennemente» (Gaetano, Apologia de Comparata Auctoritate Papae et Concilii, Roma, Angelicum ed. Pollet, 1936, p. 112 ss.).
Di fronte a questa apostasia strisciante nell’ambiente ecclesiale son sempre più attuali e veritiere le parole pronunciata circa due secoli or sono da Teodoro Ratisbonne: “Quel che temo, in questi tempi, è più una seduzione che una persecuzione. I nemici della Chiesa, oggi, si credono e si dicono cristiani, ma favoriscono l’eresia e lo scisma. Ciò che li rende molto pericolosi è la generale debolezza della fede presso i cattolici, l’amore sregolato dei piaceri mondani, la licenza immorale generalizzata. La maggior parte dei cristiani è cristiana solo di nome. Gesù non è conosciuto né amato soprannaturalmente. Quindi mi sembra necessario che per guarire una società così gravemente ammalata Dio castigherà duramente, ma assieme misericordiosamente: infatti Dio colpisce soprattutto per guarire”(Le Très Révérend Père Marie-Théodore Ratisbonne. D’après sa correspondance et les documents contemporains, Parigi, Poussielgue, 1903, tomo II, p. 188).
d. Curzio Nitoglia10/3/2017

NOTE
1 – Il libro (210 pagine, 16 euro)  può essere richiesto a Liberilibri, tel. 0732. 23. 19. 89; fax 0732. 23. 17. 50;  mail ama@liberilibri.it
2 – Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, In Symbolum Apostolorum expositio, aa. 7-8.
3 – Cfr. Mt., XIII, 24; Mc., IV, 30; Lc., XIII, 18; Lc., XIII, 33, 44-47; Lc., XVIII, 23; Gv., XII, 24.
4 – Concilio Vaticano I, DB, 1794.
5 – Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q. 2.
6 – Cfr. Sap., XIII; Rom., I
7 – Cfr. Concilio Vaticano I, sessione III, canone 2.
8 – Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., III, q. 8.
9 – Esodo, XXII, 21.
10 – Esodo, XXIII, 9.

venerdì 10 marzo 2017

Bergoglio: l’Apoteosi del Soggettivismo Emozionalista [2]


Seconda parte
La “Giustificazione” luterana e la “nuovissima morale”
Il nominalismo, negando la realtà degli abiti entitativi o qualità stabili (per esempio, la salute/malattia naturale o la grazia/stato di peccato soprannaturale), che dispongono ad essere (nell’ordine naturale o soprannaturale), sconvolge la dottrina della Giustificazione tramite la grazia santificante ed apre le porte al luteranesimo. Infatti la grazia abituale o santificante, secondo la dottrina cattolica, è un dono permanente o abito entitativo divino infuso soprannaturalmente nella sostanza dell’anima umana, cui conferisce la santità e la presenza della SS. Trinità. Ora la natura, l’abito entitativo, per il nominalismo, sono soltanto voci e parole (“flatus vocis”), che non hanno nessuna realtà. Lutero, formatosi filosoficamente sul nominalismo occamista, rigettò la dottrina cattolica sulla grazia santificante, riducendola ad un favore estrinseco di Dio, ossia ad un’estrinseca imputazione o attribuzione puramente nominale o logica, e non reale ed oggettiva, della santità di Cristo al peccatore, la quale attribuzione non cancella realmente il peccato e non conferisce la vita soprannaturale, ma soltanto copre come un velo il peccato, che, perciò, resta egualmente nell’animo umano, come la sporcizia sotto un tappeto1. Ecco perché secondo il nominalismo di Bergoglio tra cattolici modernisti e protestanti non vi sono differenze circa la dottrina della Giustificazione e della negazione pratica del libero arbitrio e della responsabilità morale delle proprie azioni.
Il libero arbitrio e la morale soggettiva
Secondo la retta ragione e la sana dottrina, la situazione soggettiva non muta l’essenza oggettiva dell’uomo. Ossia tutti gli uomini normali, in ogni situazione, mantengono la loro natura di animali razionali, liberi e responsabili. Quindi, tranne i casi patologici eccezionali o circostanze che tolgono o diminuiscono notevolmente l’uso di ragione e l’impiego del libero arbitrio, ogni uomo è responsabile dei propri atti, che debbono corrispondere alla morale oggettiva, naturale e divina per essere buoni, altrimenti sono moralmente cattivi o peccaminosi.
Negato ciò dal nominalismo protestantico e modernista, ogni uomo è lasciato in balìa dei suoi istinti soggettivi ed inoltre la stessa legge morale non è più un comandamento, un ordine universale, generale, avente valore oggettivo e reale per ogni uomo concreto in quella particolare situazione. Non è più la legge oggettiva a dire ciò che si può o non può fare nelle situazioni particolari, ma è la situazione concreta che prevale sulla morale e la legge oggettiva, naturale e divina. Come per Cartesio non è più l’io pensante che si deve conformare alla realtà extra-mentale, ma l’essere e il reale sono un prodotto del pensiero soggettivo (cogito ergo sum /penso quindi sono) così per Bergoglio è l’idea soggettiva di ciò che a noi sembra essere bene che rende buona un’azione. Infatti Francesco sostiene che “ciascuno ha una sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere il male come lui li concepisce” (A. M. Valli, 266. Jorge Mario Bergoglio. Franciscus P. P., Macerata, Liberilibri, 2107, p. 442).
Così è la situazione soggettiva che prevale e libera il singolo uomo dagli obblighi universali della morale reale ed oggettiva (questa situazione è troppo penosa, quindi non sono obbligato soggettivamente dalla legge oggettiva, divina e naturale).
La “sola misericordia”
Lutero riteneva che per salvarsi basta la “sola fede” senza la carità soprannaturale, ossia le buone opere (l’osservanza dei 10 Comandamenti). La Chiesa ha sempre insegnato che la “fede senza le opere è morta” (Giac., II, 26), che Dio è misericordioso, ma è anche Giudice e verrà “a giudicare vivi e morti” come recita il Credo.
Ora Bergoglio sulla scia di Giovanni XXIII, il quale nell’indire il Concilio affermò che la Chiesa “preferisce la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore” predica spesso una misericordia assoluta sganciata da ogni giustizia.
La Chiesa ha sempre insegnato sulla base della Rivelazione (S. Scrittura e Tradizione, lette e interpretate dal Magistero ecclesiastico) che il castigo è una pena o un male che la creatura razionale subisce per una colpa commessa.
Infatti dalla Rivelazione sappiamo che Dio aveva creato l’uomo in uno stato di felicità tale che, se egli non avesse peccato, non avrebbe sofferto nessuna pena (Gen., III, 8 ss.). In séguito al peccato originale, però, il male è entrato nel mondo sotto forma di colpa e di pena3.
Dal punto di vista teologico la pena inflitta da Dio a chi muore ostinato nella colpa grave è l’inferno4, che si divide in “pena del danno”, ossia la mancanza della visione di Dio, e in “pena del senso”, che è principalmente la pena fisica e positiva del fuoco.
Nell’Antico Testamento il castigo di Dio è rivelato formalmente: “Se farà il male lo castigherò” (2 Sam., VII, 14). “Dio castiga e usa misericordia” (Tob., XIII, 2); “Il Signore vi castiga per i vostri peccati” (Tob., XIII, 5); “Castigando il suo peccato, Signore, tu correggi l’uomo” (Sal., XXXIX, 12); “Signore, eri per loro un Dio paziente, pur castigando i loro peccati” (Sal., XCIX, 8); “Dio castigò i re per causa loro” (Sal., CV, 14); “Tu castighi poco alla volta i colpevoli” (Sap., XII, 2); “Il Signore castiga coloro che gli stanno vicino” (Giuditta, VIII, 27); “Con quanta attenzione hai castigato i tuoi figli” (Sap., XII, 21); “Ti castigherò secondo giustizia” (Ger., XXX, 11).
Nel Nuovo Testamento si legge: “Lo castigherò se farà il male” (1 Cor., XVII, 13); “Il Signore riprende e castiga coloro che ama” (Ap., III, 19); “Ogni albero sterile sarà gettato nel fuoco” (Mt., III, 10); “Il castigo di Dio incombe su di lui” (Gv., III, 13); “Dio non risparmiò gli angeli ribelli” (2 Pt., II, 4); “Il diavolo fu gettato nella stagno di fuoco” (Ap., XX, 9).
San Tommaso d’Aquino spiega innanzi tutto che Dio è l’Autore del male come pena (S. Th., I, q. 49, a. 2, in corpore) e non della colpa (malum culpae). Poi insegna (S. Th., I-II, q. 87, aa. 1-8) che nel concetto di legge è inclusa la necessità di una pena dovuta alla colpa: “il peccato rende l’uomo reo di castigo o pena” (a. 1, ad 2). L’Angelico cita Dionigi l’Areopagita (De Divinis Nominibus, cap. IV, lect. 18): “Gli angeli che castigano i peccatori non sono cattivi. Perciò il male non consiste tanto nel venire punito quanto nell’essere degno di punizione”. Ecco perché “tra gli effetti diretti del peccato non vi è tanto la pena quanto la necessità di subirla”(a. 1, ad 2).
In breve secondo l’Angelico l’obbligo di essere castigato (reatus poenae) deve essere necessariamente soddisfatto poiché lo esige la Giustizia divina. Dio non sarebbe Dio se l’ordine da Lui stabilito non ricevesse questa tutela infallibile (S. Th., I-II, q. 87, a. 6, in corpore).
Aldo Maria Valli cita frasi ed azioni di Bergoglio in cui egli cerca di dare il primato alla pastorale sulla dottrina, alla compassione sulla giustizia, evitando che la morale prenda il sopravvento sulla prassi e che la legge divina e naturale diventi la norma e il principio in base al quale si può essere solleciti verso le creature e i peccatori, aiutandoli ad uscire dal peccato, conditio sine qua non per ottenere il perdono di Dio. “Ubi justitia et veritas ibi caritas” .
Il suo soggettivismo e relativismo nominalista lo portano immancabilmente a ripudiare la dottrina cattolica, secondo cui ci deve essere una norma o legge universale valida per tutti e vincolante tutti (i 10 Comandamenti). Quella di Bergoglio, secondo Valli, è “una mentalità liquida, senza certezze oggettive e punti immutabilmente fermi di riferimento” (op. cit., p. 28).
Ora una pastorale sganciata dalla verità e dalla giustizia è contraria alla vera carità soprannaturale, non è missionaria e non porta l’uomo sulla strada che conduce in Paradiso. Ma quest’ultima è la natura della vera missionarietà della Chiesa e del Pontifex Sacerdos, che debbono fungere 1°) da “ponte” tra Dio e l’uomo, affinché la grazia divina giunga all’uomo e affinché l’uomo, con l’aiuto della grazia, ascenda in Cielo; 2°) da colui che trasmette le cose sacre (“sacra dans”) agli uomini e non chiacchiere vuote di nomi cui nulla corrisponde nella realtà, come vorrebbero i nominalisti e i modernisti.
“Il medico è venuto per gli ammalati” (Mc., II, 17) certamente, ma il medico o il dottore è colui che conosce e insegna (“docet”) la scienza per curare i corpi e le anime e la applica ai casi singoli nelle dovute proporzioni e dosi. “Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa”. Alcune volte il medico è costretto ad amputare, ad incidere ad operare, ma è per il vero bene dell’ammalato e della sua anima. Se il medico chiude gli occhi sulla realtà o gravità della malattia del suo paziente lo rovina, non lo cura. Per condurre qualcuno in Cielo bisogna conoscere e insegnargli la vera strada che vi porta. Ora con la morale soggettivista e relativista si tende a dire che la pretesa di possedere la verità aderendovi è orgoglio e fanatismo fondamentalista. Così facendo si fa imboccare una strada che, non essendo vera, non conduce a Dio ma all’Io e alla perdita di Dio.
Ora l’età moderna, iniziatasi con il nominalismo e l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’io, che il Cristianesimo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’io dalla filosofia perenne; venne Rousseau e con i suoi principi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’io è poi culminata nella divinizzazione dell’io medesimo (Hegel) e nella conseguente umanizzazione, o meglio, “distruzione” di Dio (Nietzsche). Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’io. Tolto di mezzo Dio, si è avuto l’uomo totalmente “finito”, ossia un cadavere ambulante: la conquista si è mutata in disfatta. La verità e la giustizia saranno il mezzo più efficace per salvare l’uomo moderno, arrestandolo nella sua folle e rovinosa corsa alla conquista dell’io e spronandolo non meno efficacemente alla sapientissima conquista dell’io Dio.
Ora la pastorale di Bergoglio segue la strada della modernità più radicale e conduce l’uomo alla rovina evitando “la strada stretta che porta in Paradiso” e portandolo su “una strada larga e spaziosa che conduce alla perdizione” (Mt., VII, 13-14).
Giustamente nota Valli: “il problema è un altro. È che si parla troppo di sola misericordia e troppo poco di come procurarsi la misericordia divina! Dio è misericordioso, ma la sua misericordia occorre chiederla attraverso la nostra libertà responsabile. La vera via è il pentimento. Non mi pare, però, che la seconda parte della questione sia ben presente in tutto questo gran parlare che si fa di misericordia, né da parte del Papa né da parte dei suoi solerti sostenitori” (op. cit., p. 37). S. Agostino ci ricorda: “Qui creavit te sine te, non salvabit te sine te”, Bergoglio non ce lo ricorda!
In breve, la pastorale di Bergoglio è “una pastorale mobile e fluida, dove può essere vero tutto e il contrario di tutto” (op. cit., p. 87).
Misericordia a parole, durezza nei fatti
Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange era solito dire: “il cattolico è intransigente nei princìpi perché ha la fede ed è misericordioso nella pratica perché ha la carità, il liberale è largo nei princìpi perché non crede ed è spietato nella pratica perché non ama di amore soprannaturale”.
Questo assioma può essere applicato a Bergoglio. Infatti se da una parte predica la “sola misericordia a chiacchiere”, dall’altra applica la cruda giustizia, che confina con la spietatezza e la crudeltà. Aldo Valli ce ne dà la prova: “Nel gennaio 2013 Francesco riceve in Vaticano Diego Neria Lejarraga, transessuale” (op. cit., p. 128). Invece “il 15 aprile del 2104, alla fine dell’udienza generale in piazza S. Pietro, il Papa si avvicina ad un folto gruppo di persone in attesa. Fra loro ci sono il marito e una figlia di Asia Bibi, la donna cristiana pachistana accusata di blasfemia e per questo incarcerata e condannata a morte. […]. Sono arrivati in Italia per chiedere di prendere iniziative a favore della liberazione della donna. L’incontro, annunciato dalla stampa, è dunque molto atteso, ma a sorpresa Francesco dedica ai parenti di Asia Bibi solo uno sguardo fugace, quasi distratto se non infastidito. Le immagini televisive non lasciano dubbi. Bergoglio questa volta non ascolta le persone che ha davanti a sé, non si ferma, non parla, non le benedice. La figlia di Asia Bibi resta visibilmente sorpresa da tanta freddezza. Perché tanta indifferenza in un Papa noto per la sua misericordia? […]. Perché tanta tenerezza con Diego e così poca con i parenti di Asia Bibi?” (op. cit., p. 119 e p. 129)5.
Quando la soggettività, come in Bergoglio, prevale su tutto si resta in balìa delle impressioni, dei sentimenti, dell’irrazionalismo cieco, manca una ragione e una logica illuminata e solida e si corre il rischio di sbandare “a sinistra” per eccesso di sola misericordia teorica che diventa “flatus vocis” o “a destra” per eccesso di giustizia pratica che diventa crudeltà. Infatti se il metro di ogni cosa è il soggetto, l’io, l’uomo concreto e sganciato dalla ragione che si uniforma e adegua alla realtà oggettiva, allora ci si riduce a istintività animalesca, passionalità selvaggia e si emettono opinioni discutibili in teoria, ma insindacabili in pratica. Si diventa allergici e intolleranti a qualsiasi obiezione ragionata, argomentata e logica, si fa come Pinocchio col grillo parlante: lo si schiaccia (v. Asia Bibi, il card. Edmund Burke, i Francescani dell’Immacolata…). Il soggetto, l’io, specialmente “il proprio Io” sono assolutizzati hegelianamente e divengono principio ingiudicabile di bene e di male, di vero e di falso. Chi osa obiettare ha “una personalità distorta, malata, diabolica…” e tutto in nome della misericordia in astratto, del “misericordioso a parole e duro nei fatti” (op. cit., p. 112). È una parodia della vera misericordia, una bugia incarnata.
Dopo aver studiato il pensiero e la prassi di Bergoglio quanto al soggettivismo relativista e alla “sola misericordia”, prossimamente in un terzo articolo vedremo i temi tanto cari a lui: l’accoglienza indiscriminata, la dottrina secondo cui “Dio non è cattolico” e la volontà di piacere al mondo.
d. Curzio Nitoglia7/3/2017

Bergoglio: l’Apoteosi del Soggettivismo Emozionalista [1]



Prima parte
Il libro di Aldo Maria Valli
Recentemente il vaticanista del TG1 Aldo Maria Valli ha pubblicato un libro interessante (2661. Jorge Mario Bergoglio. Franciscus P. P., Macerata, Liberilibri, 21072) sulle varie stonature di alcune frasi di Francesco I, che lasciano disorientati i fedeli cattolici.
Mi baso sulle citazioni riportate nel libro e molto ben documentate in nota, rinviando il lettore ad esse per non appesantire troppo il presente articolo. Inoltre riporto alcune osservazioni del Valli e mi permetto di integrarle con altre mie.
La prima frase male-sonante è quella “Chi sono io per giudicare un gay?” (A. M. Valli, 266. Jorge Mario Bergoglio. Franciscus P. P., Macerata, Liberilibri, 2107, p. 14, nota 4).
L’Autore constata che Bergoglio “non è in possesso delle capacità o della volontà di compiere ciò che invece è dovere di ogni Papa: vincolare se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio” (op. cit., p. 15, nota 5).
Infatti Gesù ha dato a Pietro e ai Papi l’Ufficio di insegnare (Mt., XXVIII, 18) proprio perché indicassero all’Episcopato e ai fedeli ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è bene e ciò che è male. Bergoglio “invece di centrare l’insegnamento sulla Parola di Dio, sarebbe impegnato a proclamare le proprie idee” (op. cit., p. 15), le quali sono l’inizio di una lunga serie di “dichiarazioni selvagge”, di “sistematica denigrazione della dottrina e della disciplina tradizionali della Chiesa”, che mettono “il Papa contro la Chiesa” in una sorta di “guerra civile cattolica”, poiché “stanno suscitando apprensione tra i cattolici comuni, che lo giudicano ormai fuori controllo” (op. cit., pp. 16-17, nota 7).
Bergoglio “non affronta gli aspetti dottrinali e le questioni morali (aborto, eutanasia, omosessualità, procreazione artificiale)” (op. cit., p. 19). Egli preferisce la “Chiesa incidentata, partecipe e coinvolta nello sporcarsi le mani con la situazione concreta, alla Chiesa dottrinalmente ben attrezzata, attenta e rigorosa nel ribadire la verità. Secondo Francesco non può esserci una norma universale, vincolante per tutti” (op. cit., p. 27).
Eppure la pastorale deve applicare ai casi concreti le norme e i princìpi universali della teologia morale e dogmatica. Invece a partire dal Vaticano II la pastorale ha preso il sopravvento sulla dottrina e si è messo, così, “il carro avanti ai buoi”, arrivando, quindi, alle recenti esternazioni di Bergoglio, le quali sono una logica conclusione, radicale ed estrema, del neo-modernismo penetrato nell’ambiente ecclesiale a partire da Giovanni XXIII.
Anche Aldo Valli si chiede: “La pastorale di per sé è una prassi e come tale ha bisogno di una dottrina cui essere agganciata. Una pastorale senza dottrina, o con una dottrina vaga e ambigua, non rischia forse di andare contro la verità?” (op. cit., p. 28). Di qui le tendenze attuali “intrise di soggettivismo”, lo “strizzare l’occhio alla mentalità dominante”, il “piegarsi al relativismo imperante” (op. cit. pp. 28-29). Invece la Chiesa ha sempre considerato la verità come la via che porta a Dio e Essa ha il dovere di indicare la verità agli uomini affinché arrivino a Dio senza tema di sbagliarsi. È per questo che Valli si pone “la domanda delle domande: l’antropologia relativista ha forse inglobato gli uomini di Chiesa, e per mano di Bergoglio in persona?” (op. cit., p. 29). Tutto ciò denota in Bergoglio il primato dell’elemento emozionale su quello razionale.
Bergoglio è solito ripetere: “non si amano i concetti, non si amano le parole, si amano le persone” (op. cit., p. 33, nota 16); insomma l’individuo è più importante del concetto. Ma “quando la soggettività prevale su tutto, il soggetto resta in balìa delle impressioni e l’azione umana viene a mancare di una ragione illuminata e solida” (ivi).
Un’altra deriva soggettivista e relativista in materia di morale in Bergoglio viene scorta da Valli in un’intervista rilasciata dal Pontefice a La Civiltà Cattolica in cui dichiara che “l’ingerenza [della morale e della Chiesa, ndr] nella vita personale non è possibile” (op. cit., p. 43, nota n. 22). Sembrerebbe che per Bergoglio “la decisione individuale è sempre buona o almeno ha sempre valore, per cui nessuno la può giudicare da fuori, con una norma universale” (ivi). Però nota lo stesso Valli: “Se la Chiesa non mostra il peccato, se non consente al peccatore di fare chiarezza dentro di sé secondo la Legge di Gesù, non si condanna all’irrilevanza?” (op. cit., p. 44). Ma purtroppo Francesco sostiene proprio che “ciascuno ha una sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere il male come lui li concepisce” (ivi). Giustamente Valli nota che «L’idea di giudizio, come recitiamo nel Credo (“e di lì ha da venire a giudicare i vivi e i morti”)non è mai stata estranea ai cristiani» (op. cit., p. 46) e conseguentemente nota un’adesione bergogliana al “soggettivismo dilagante”, alla “liquidità del pensiero”.
Inoltre per quanto riguarda la morale familiare Valli cita il teologo Robert Spaemann, il quale asserisce che vi è una frattura tra l’Esortazione Amoris laetitia e la dottrina tradizionale della Chiesa e non teme di dire che “il caos è stato eretto a principio con un tratto di penna. Il Papa avrebbe dovuto sapere che con un tale passo spacca la Chiesa e la porta verso lo scisma” (op. cit., p. 68, nota 53)3.
“Per discernere – afferma Valli – occorre possedere alcuni punti di riferimento, punti fermi rispetto ai quali valutare e decidere. Ma qui mi sembra essere entrati in una pastorale mobile, dove può essere vero tutto e il contrario di tutto” (op. cit., p. 87).
Valli porta un esempio molto chiaro e significativo della pastorale di Bergoglio: «Nel gennaio 2016 viene diffuso un video, prodotto da una società di comunicazione argentina, in cui Francesco si fa promotore del dialogo fra le religioni. Nel video un imam, un rabbino, un prete cattolico e un induista. Ognuno porta con sé il simbolo tipico della propria religione, ma il cristiano non tiene in mano nessuna croce, bensì una statuina di Gesù Bambino: forse per non offendere l’ebreo? Ciò che mi rende ancora più perplesso è il messaggio di cui anche il Papa si fa portatore e che nel video è ripetuto come un mantra da tutti gli esponenti religiosi: “Credo nell’amore”. Che significa? Quale amore? Di quale Dio?» (op. cit., pp. 94-95).
Dulcis in fundo «di ritorno dall’Armenia, nel giugno del 2016, rispondendo alle domande dei giornalisti, Bergoglio esprime due concetti che fanno notizia. Il primo è che la Chiesa deve scusarsi con i gay, il secondo è che Martin Lutero fu un “riformatore” e rappresentò una “medicina” per la Chiesa cattolica che era malata. Partiamo dai gay. Di che cosa dovrebbe scusarsi la Chiesa? Bergoglio risponde, genericamente, che dovrebbe scusarsi per averli offesi. Quando, come, perché? Non lo dice. […]. E ora la questione di Lutero, il “riformatore” che, secondo Bergoglio, sarebbe stato una “medicina” per la Chiesa. Anche in questo caso, ne prendiamo atto. E noi, poveri cattolici, che pensavamo che Lutero e la riforma protestante fossero stati una malattia, e che la medicina fosse stata, semmai, la controriforma» (op. cit., pp. 179-180).
L’occamismo nominalista alla radice della “nuovissima morale”
Per capire l’origine di questo relativismo morale di Bergoglio, che potrebbe essere qualificato come “nuovissima morale”, occorre risalire alla sua origine. Penso che essa sia il nominalismo occamista. Infatti il nominalismo4 ritiene che i concetti universali5 ed anche la natura o l’essenza reale (generica6 e specifica7) non hanno nessuna realtà oggettiva fuori della mente pensante; l’unica realtà extra-mentale è la cosa singolare, l’individuo (per esempio, Antonio): “nihil est praeter individuum” è l’assioma che riassume e definisce il nominalismo e la pastorale morale di papa Bergoglio.
Inoltre il nominalismo radicale di Occam riducendo l’essere al pensiero, deprime la capacità della ragione umana di conoscere la realtà e spalanca la via allo scetticismo e all’agnosticismo. Ora il modo di pensare e di parlare di Bergoglio, come ci è stato presentato dalle citazioni di Aldo Valli, denotano una forte dose di scetticismo relativista e agnostico.
In breve per Occam e Bergoglio l’uomo ha solo una conoscenza sensibile del singolare, del fenomeno che cade sotto i sensi, di ciò che è sperimentabile.
Le conseguenze morali del nominalismo
L’errore principale, che sta alla base della “nuovissima morale” soggettivista e relativista detta “della situazione” fatta propria e radicalizzata da Bergoglio, risiede nella filosofia nominalista, moderna e contemporanea e nella teologia protestantica e modernistica, che sostituiscono l’io pensante alla realtà oggettiva ed annullano la libertà umana ed il valore delle opere buone oggettive e reali per rimpiazzarle col sentimento morale soggettivistico dell’uomo, che si trova a vivere e ad agire in una particolare situazione.
In breve è lo stesso errore del modernismo classico, ma trasposto dal campo teoretico e dogmatico a quello pratico e morale. Il modernismo dogmatico dopo aver fatto tabula rasa, da Giovanni XXIII a Benedetto XVI, nel campo teoretico si è scagliato, con Francesco I, contro quello pratico ed etico con la “nuovissima morale” della situazione, la quale rappresenta lo stadio terminale del neo-modernismo, che vuol distruggere anche l’agire umano morale secondo la natura e la legge divina.
La conclusione pratica e morale del nominalismo, negando filosoficamente che ogni uomo mantiene la stessa essenza o natura di essere umano (animale razionale e libero) nelle situazioni particolari e concrete in cui si trova a vivere, è che la situazione soggettiva ha il primato sulla legge morale e diventa, così, la regola dell’agire etico dell’uomo. È la situazione soggettiva che rimpiazza la legge e la morale oggettiva. Questa è la “nuovissima teologia” bergogliana.
È per questo che Bergoglio, in pratica, nega la moralità intrinseca della azioni umane, poiché il criterio della moralità è estrinseco all’oggetto dell’azione umana.
In cosa consiste tale “nuovissima morale”?
Più che un vero e proprio sistema di teologia morale, la morale neo-modernistica della situazione è una mentalità sentimentalistica, secondo il modus operandi soggettivistico a-dogmatico ed irrazionale del modernismo.
L’errore fondamentale della “nuovissima morale” bergogliana consiste nel voler sostituire alla morale oggettiva e naturale e alle regole oggettive di essa, le aspirazioni, i sentimenti, le esperienze morali soggettive e personali dell’individuo concreto.
Coscienza morale e psicologica
La “nuovissima morale” parla molto di coscienza soggettiva8. Ora la coscienza ha due significati: uno morale e uno psicologico. Il significato principale è quello morale e quindi essenzialmente la coscienza è la consapevolezza morale della bontà o malizia degli atti umani. Specialmente oggi, però, con la morale bergogliana soggettiva della situazione, la coscienza viene scambiata con il significato psicologico, ossia con l’uomo che è cosciente o consapevole di esistere, agire e reclama il primato assoluto della coscienza soggettiva sulla realtà oggettiva9.
San Tommaso d’Aquino definisce la coscienza come un atto di giudizio pratico, relativo all’agire, con il quale si applicano i princìpi universali alle azioni particolari (S. Th., I, q. 79, a. 13).
Quindi – secondo la retta morale – la coscienza applica la norma morale oggettiva al caso particolare e non crea – come vorrebbe la “nuovissima morale” neomodernistica – la norma a seconda della situazione soggettiva in cui ci si trova. Quindi non è esatto dire che la coscienza soggettiva determina e stabilisce arbitrariamente ciò che è bene e ciò che è male. La retta morale oggettiva e tradizionale insegna che il soggetto umano riconosce mediante la coscienza ciò che è oggettivamente bene e da farsi e ciò che è oggettivamente male e da evitarsi.
Il termine “coscienza” corretto è quello morale, ossia il giudizio col quale la persona valuta le proprie azioni in quanto moralmente buone o cattive. Inoltre la voce della coscienza, dopo aver giudicato se un’azione è moralmente buona o cattiva, dice all’uomo se è suo dovere compierla o no e poi approva l’azione buona (la tranquillità della buona coscienza) e disapprova quella cattiva (il rimorso della coscienza). La coscienza morale è il giudice interiore di ogni uomo. Il compito della coscienza morale è quello di applicare i precetti oggettivi della legge morale naturale e divina ai casi singoli, alle singole situazioni soggettive in cui l’uomo si trova a dover agire10.
La morale coniugale
Si veda l’assalto che si sta scatenando, oggi nella fase terminale dell’ultra-modernismo bergogliano, contro la morale coniugale (sacramenti ai divorziati, che vogliono continuare a convivere…) e naturale (i matrimoni omosessuali legalizzati; l’affidamento dei figli alle coppie omosessuali e l’incitamento, sotto forma di educazione sessuale, al peccato contro la purezza anche omosessuale insegnato all’asilo sin dai quattro anni…).
Questo funesto principio oggi sta cercando di conciliare ciò che è moralmente inconciliabile, ossia l’etica oggettiva e il soggettivismo filosofico, che distrugge l’oggettività della morale, rendendola soggettiva, individuale e personale, vale a dire una morale della situazione, per cui in questa situazione per me (hic et nunc) il tal Comandamento (oggettivo)11 o la tal Virtù (oggettiva)12 non è praticabile e quindi non mi obbliga.
Le conseguenze sono l’indebolimento dello spirito di fede, della pratica delle buone opere ed infine della virtù di umiltà, che ci fa accettare i nostri limiti e riconoscere i nostri sbagli con vero dolore e sincero proponimento della volontà di correggerci, conformando la nostra condotta alla morale oggettiva e non perseverando nel male.
Pio XII ha condannato la “nuovissima morale”
La Chiesa, con lungimiranza, aveva già condannato, negli anni Cinquanta, la nuova morale della situazione con tre solenni dichiarazioni pontificie: Pio XII, Radiomessaggio agli educatori cristiani del 23 marzo 1952 (AAS, n. 44, 1952, p. 273); Discorso ai delegati dellaFédération mondiale des jeunesses féminines catholiques (AAS, n. 44, 1952, p. 414); Discorso in occasione del quinto Congresso mondiale di psicologia clinica del 13 aprile 1953 (AAS, n. 45, 1953, p. 278) ed infine con il Decreto del S. Uffizio del 2 febbraio 1956 (AAS, n. 48, 1956, pp. 144-145). Il Papa, nel primo intervento, condannava il voler sostituire alla legge divina e naturale il proprio arbitrio soggettivo; nel secondo equiparava la nuova morale alla filosofia idealista, attualista, esistenzialista e soggettivista ed infine, nel terzo, metteva in guardia dal voler lasciare la morale tradizionale per adattarsi ed aggiornarsi alle esigenze dell’uomo moderno e concreto in tutte le situazioni in cui si trova ad agire.
Il S. Uffizio, poi, ricordava che la morale oggettiva e tradizionale ha sempre studiato le circostanze(quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando / chi, cosa, dove, con quali mezzi, perché, come, quando13) che accompagnano l’atto umano nella sua moralità, ma non ha mai messo le circostanze, le esigenze soggettive e situazionali al posto della legge e morale oggettiva naturale e divina. Le circostanze possono mutare la specie del peccato (per esempio, se “chi / quis” viene ucciso è una persona che ha fatto il voto di religione ci si macchia anche di sacrilegio oltre che di omicidio); possono diminuirla ed anche annullarla (se qualcuno è costretto sotto tortura, “con quali mezzi / quibus auxiliis”, a rivelare un segreto); oppure possono aggravarla (se si ruba una materia grave si commette peccato mortale, mentre se si ruba una materia lieve si commette peccato veniale), ma non sono la legge e la morale.
La circostanza è qualcosa che sta attorno (“circumstare”) ad un nucleo essenziale, come suo accessorio. In teologia morale si parla delle circostanze dell’atto umano in quanto morale, le quali sopravvengono a modificare14 l’eticità dell’atto, che è data essenzialmente dall’oggetto, il quale è la fonte o il nucleo primario della moralità degli atti, mentre le circostanze sono la parte secondaria e accessoria, ma non per questo insignificante15.
La morale agnostica
Essa vuol ignorare ogni oggetto da cui l’uomo possa dipendere e rifiuta di porsi il problema della verità. L’agnosticismo limita la possibilità di conoscere la verità soprattutto riguardo a Dio, che sarebbe totalmente inconoscibile dall’uomo. Esso riduce la conoscenza umana da razionale a puramente sensibile o animale. Quindi trascura le essenze, il perché delle cose, il Trascendente. Non nega per principio o teoreticamente questi oggetti, come fa l’ateismo, ma è indifferente, non se ne cura, anzi afferma che in pratica è meglio non pensarci. Di qui il disprezzo di Bergoglio per la teologia e la dottrina. In un certo senso è una filosofia peggiore anche dell’ateismo, che almeno si pone il problema di Dio, anche se poi ne nega l’esistenza. Invece l’agnosticismo non vuol pensarci. Il modernismo, adottando l’agnosticismo kantiano, è una forma di agnosticismo teologico, che risolve il problema di Dio per via di sentimento o esperienza religiosa.
In campo filosofico l’agnosticismo afferma che 1°) la ragione è limitata alla “conoscenza” empirica degli oggetti sensibili; 2°) la Trascendenza non esiste o al massimo è inconoscibile. Da questi due errori principali dello scetticismo ne derivata la conclusione radicalmente annichilatrice della ragione, della morale e persino dell’essere creato e Increato. Nel nichilismo filosofico post-moderno si ritrovano i due princìpi fondamentali dell’agnosticismo, che dunque è il filo conduttore di tutta la modernità e post-modernità. L’agnosticismo, assieme allo scetticismo, hanno causato 1°) la eclissi della ragione (v. il marxismo e la priorità della praxis con una mano tesa alla religione ammodernata e aggiornata); addirittura 2°) la sua distruzione o annichilazione (v. il nichilismo freudiano radicale della Scuola di Francoforte); ed infine 3°) la morte dell’uomo, che per natura e nella sua essenza è un animale razionale (v. “il pensiero selvaggio” del nichilismo strutturalistico francese sessantottino). Ora la mortificazione o uccisione della ragione è la mortificazione o annichilazione e demotivazione dell’uomo, (che nella sua essenza è razionale) ed anche della verità, (che è conosciuta con la ragione). Ciò equivale a rinunziare a pensare e a giungere alla verità, cioè colpire a morte, nella sua natura, la vita umana poiché senza ragionare e senza verità non vi è più l’agire per eccellenza dell’uomo (“animale razionale e libero”, Aristotele) e il suo scopo (“conoscere il vero ed amare il bene”), cioè ciò che rende l’uomo veramente uomo, la sua essenza o causa formale e il suo scopo o causa finale. Restano solo la causa materiale (il puro corpo, come negli animali) e una causa efficiente, che non si sa quale sia poiché la modernità nega il principio di causalità (“se c’è un effetto c’è una causa”). Inoltre ogni ente agisce per un fine (“omne agens agit propter finem”), quindi la modernità togliendo la finalità all’uomo, che è necessariamente legata alla sua natura di ente vivente e ragionevole, lo de-motivizza e de-moralizza. Infine se si toglie la verità come oggetto di conoscenza, resta che si potrebbe conoscere solo il falso, che distorce, fuorvia, devia, demolisce ed infine dissocia, poiché è difformità con la realtà e se l’uomo perde il contatto con la realtà cade nella dissociazione mentale, ossia nella follia.
Inoltre l’agnosticismo è animato da una grande superbia nascosta sotto apparenze di umiltà ( “chi sono io per poter giudicare?”). Infatti esso preferisce ignorare la tendenza naturale dell’intelletto verso il vero, anziché assecondarla e cercare di adeguare il proprio pensiero agli oggetti reali che gli si trovano attorno e davanti e rifiutando di conformarsi al reale e al vero giunge a voler creare la realtà col pensiero: “cogito ergo sum”.
Conclusione
Nel libro di Valli sono affrontati anche altri temi stonati del pensiero bergogliano (la “sola misericordia”, l’accoglienza, il piacere al mondo, la dottrina luterana della “giustificazione”, il Dio non cattolico…). Li esporrò in un prossimo articolo per non tediare il lettore.
Qui mi son limitato a prendere atto di quanto sia vuoto il pensiero di Francesco e a mostrare le radici e il perché di tale pressappochismo, il quale risale al nominalismo che nega la realtà della essenza reale, del concetto universale e della capacità umana di conoscere la realtà oggettiva. Da questi princìpi non si può non arrivare a queste tristissime e debolissime conclusioni.
d. Curzio Nitoglia
1266” significa che Bergoglio è il 266° Papa della Chiesa.
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3Ora proprio in questi tempi mentre anche i teologi “conciliari” riconoscono la rottura tra l’insegnamento di Bergoglio e quello della Chiesa, mons. Bernard Fellay asserisce che bisogna mettersi sotto la giurisdizione di Bergoglio per evitare uno scisma…è veramente il caos eretto a principio in tutti i campi!
4 Sviluppato specialmente da Guglielmo Occam († 1349).
5 Per esempio, “umanità”.
6 Per esempio, “animale”.
7 Per esempio, “umana”.
8 Cfr. E. Lio, Conscientia, in Dictionarium morale et canonicum, Roma, 1962.
9 Cfr. P. Palazzini, La coscienza, Roma, Ares, 1961.
10Per esempio, la coscienza applica il comandamento “non uccidere” al caso particolare di una gravidanza indesiderata in un periodo difficile. Anche in quel caso o situazione particolare, per quanto difficile possa essere, la voce della coscienza dice che non è lecito uccidere l’innocente per alleviare le difficoltà soggettive dell’individuo concreto in quella determinata situazione.
11 Per esempio il comandamento: “non uccidere”, oggettivo, universale e negativo obbliga sempre e per sempre, ma se nella situazione particolare (accettare un figlio indesiderato) di una persona, soggettivisticamente considerata (una giovane che non si è ancora fatta una strada nella vita), riesce troppo gravoso, non obbliga e si può abortire. Così pure se sopportare un anziano malato diventa difficilmente sopportabile, in determinate situazioni, allora è lecita l’eutanasia e così via.
12 Per esempio il voto di castità o il celibato ecclesiastico esistono oggettivamente, ma se nelle condizioni soggettive di un religioso, che si trova immerso nel mondo contemporaneo con tutte le sue esigenze, diventano troppo gravosi, non obbligano il soggetto.
13 Quis indica le qualità accidentali del soggetto operante, per esempio se è un sacerdote; quid esprime la quantità della materia, se ho rubato 1000 lire o 1 milione, se ho ucciso 1 o 7 persone; ubi accenna al luogo particolare, per esempio se ho rubato in chiesa; quibus auxiliis dice i mezzi con cui l’atto è stato compiuto, per esempio se ho calunniato a viva voce o mediante scritti pubblicati; cur è l’intenzione o il fine dell’azione, esso è la circostanza principale, per esempio se prego per farmi notare e per vanagloria; quomodo indica il modo in cui si è agito, per esempio se con piena avvertenza o no, oppure con violenza; quando indica il tempo, per esempio se ho portato odio per 1 minuto o per 1 anno, se ho rubato di domenica.
14 Ci sono circostanze che 1°) aumentano o diminuiscono la moralità proveniente principalmente dall’oggetto; per esempio, se rubo 1000 lire o 100 mila, commetto un peccato veniale o mortale contro il medesimo 7° comandamento. Vi sono anche circostanze che 2°) mutano la specie della moralità dell’atto, ossia apportano all’atto un’altra moralità di specie diversa da quella dell’oggetto principale; esse costituiscono un secondo oggetto morale distinto dal primo. Per esempio, se rubo un calice consacrato oltre l’oggetto del furto (peccato contro il 7° comandamento), vi è un altro oggetto morale che è il sacrilegio (peccato contro il 1° comandamento).
15 S. Th., I-II, q. 18; A. Lanza – P. Palazzini, Principi di teologia morale, Roma, 1957, vol. III, n. 117 ss.