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venerdì 10 marzo 2017

Bergoglio: l’Apoteosi del Soggettivismo Emozionalista [1]



Prima parte
Il libro di Aldo Maria Valli
Recentemente il vaticanista del TG1 Aldo Maria Valli ha pubblicato un libro interessante (2661. Jorge Mario Bergoglio. Franciscus P. P., Macerata, Liberilibri, 21072) sulle varie stonature di alcune frasi di Francesco I, che lasciano disorientati i fedeli cattolici.
Mi baso sulle citazioni riportate nel libro e molto ben documentate in nota, rinviando il lettore ad esse per non appesantire troppo il presente articolo. Inoltre riporto alcune osservazioni del Valli e mi permetto di integrarle con altre mie.
La prima frase male-sonante è quella “Chi sono io per giudicare un gay?” (A. M. Valli, 266. Jorge Mario Bergoglio. Franciscus P. P., Macerata, Liberilibri, 2107, p. 14, nota 4).
L’Autore constata che Bergoglio “non è in possesso delle capacità o della volontà di compiere ciò che invece è dovere di ogni Papa: vincolare se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio” (op. cit., p. 15, nota 5).
Infatti Gesù ha dato a Pietro e ai Papi l’Ufficio di insegnare (Mt., XXVIII, 18) proprio perché indicassero all’Episcopato e ai fedeli ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è bene e ciò che è male. Bergoglio “invece di centrare l’insegnamento sulla Parola di Dio, sarebbe impegnato a proclamare le proprie idee” (op. cit., p. 15), le quali sono l’inizio di una lunga serie di “dichiarazioni selvagge”, di “sistematica denigrazione della dottrina e della disciplina tradizionali della Chiesa”, che mettono “il Papa contro la Chiesa” in una sorta di “guerra civile cattolica”, poiché “stanno suscitando apprensione tra i cattolici comuni, che lo giudicano ormai fuori controllo” (op. cit., pp. 16-17, nota 7).
Bergoglio “non affronta gli aspetti dottrinali e le questioni morali (aborto, eutanasia, omosessualità, procreazione artificiale)” (op. cit., p. 19). Egli preferisce la “Chiesa incidentata, partecipe e coinvolta nello sporcarsi le mani con la situazione concreta, alla Chiesa dottrinalmente ben attrezzata, attenta e rigorosa nel ribadire la verità. Secondo Francesco non può esserci una norma universale, vincolante per tutti” (op. cit., p. 27).
Eppure la pastorale deve applicare ai casi concreti le norme e i princìpi universali della teologia morale e dogmatica. Invece a partire dal Vaticano II la pastorale ha preso il sopravvento sulla dottrina e si è messo, così, “il carro avanti ai buoi”, arrivando, quindi, alle recenti esternazioni di Bergoglio, le quali sono una logica conclusione, radicale ed estrema, del neo-modernismo penetrato nell’ambiente ecclesiale a partire da Giovanni XXIII.
Anche Aldo Valli si chiede: “La pastorale di per sé è una prassi e come tale ha bisogno di una dottrina cui essere agganciata. Una pastorale senza dottrina, o con una dottrina vaga e ambigua, non rischia forse di andare contro la verità?” (op. cit., p. 28). Di qui le tendenze attuali “intrise di soggettivismo”, lo “strizzare l’occhio alla mentalità dominante”, il “piegarsi al relativismo imperante” (op. cit. pp. 28-29). Invece la Chiesa ha sempre considerato la verità come la via che porta a Dio e Essa ha il dovere di indicare la verità agli uomini affinché arrivino a Dio senza tema di sbagliarsi. È per questo che Valli si pone “la domanda delle domande: l’antropologia relativista ha forse inglobato gli uomini di Chiesa, e per mano di Bergoglio in persona?” (op. cit., p. 29). Tutto ciò denota in Bergoglio il primato dell’elemento emozionale su quello razionale.
Bergoglio è solito ripetere: “non si amano i concetti, non si amano le parole, si amano le persone” (op. cit., p. 33, nota 16); insomma l’individuo è più importante del concetto. Ma “quando la soggettività prevale su tutto, il soggetto resta in balìa delle impressioni e l’azione umana viene a mancare di una ragione illuminata e solida” (ivi).
Un’altra deriva soggettivista e relativista in materia di morale in Bergoglio viene scorta da Valli in un’intervista rilasciata dal Pontefice a La Civiltà Cattolica in cui dichiara che “l’ingerenza [della morale e della Chiesa, ndr] nella vita personale non è possibile” (op. cit., p. 43, nota n. 22). Sembrerebbe che per Bergoglio “la decisione individuale è sempre buona o almeno ha sempre valore, per cui nessuno la può giudicare da fuori, con una norma universale” (ivi). Però nota lo stesso Valli: “Se la Chiesa non mostra il peccato, se non consente al peccatore di fare chiarezza dentro di sé secondo la Legge di Gesù, non si condanna all’irrilevanza?” (op. cit., p. 44). Ma purtroppo Francesco sostiene proprio che “ciascuno ha una sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere il male come lui li concepisce” (ivi). Giustamente Valli nota che «L’idea di giudizio, come recitiamo nel Credo (“e di lì ha da venire a giudicare i vivi e i morti”)non è mai stata estranea ai cristiani» (op. cit., p. 46) e conseguentemente nota un’adesione bergogliana al “soggettivismo dilagante”, alla “liquidità del pensiero”.
Inoltre per quanto riguarda la morale familiare Valli cita il teologo Robert Spaemann, il quale asserisce che vi è una frattura tra l’Esortazione Amoris laetitia e la dottrina tradizionale della Chiesa e non teme di dire che “il caos è stato eretto a principio con un tratto di penna. Il Papa avrebbe dovuto sapere che con un tale passo spacca la Chiesa e la porta verso lo scisma” (op. cit., p. 68, nota 53)3.
“Per discernere – afferma Valli – occorre possedere alcuni punti di riferimento, punti fermi rispetto ai quali valutare e decidere. Ma qui mi sembra essere entrati in una pastorale mobile, dove può essere vero tutto e il contrario di tutto” (op. cit., p. 87).
Valli porta un esempio molto chiaro e significativo della pastorale di Bergoglio: «Nel gennaio 2016 viene diffuso un video, prodotto da una società di comunicazione argentina, in cui Francesco si fa promotore del dialogo fra le religioni. Nel video un imam, un rabbino, un prete cattolico e un induista. Ognuno porta con sé il simbolo tipico della propria religione, ma il cristiano non tiene in mano nessuna croce, bensì una statuina di Gesù Bambino: forse per non offendere l’ebreo? Ciò che mi rende ancora più perplesso è il messaggio di cui anche il Papa si fa portatore e che nel video è ripetuto come un mantra da tutti gli esponenti religiosi: “Credo nell’amore”. Che significa? Quale amore? Di quale Dio?» (op. cit., pp. 94-95).
Dulcis in fundo «di ritorno dall’Armenia, nel giugno del 2016, rispondendo alle domande dei giornalisti, Bergoglio esprime due concetti che fanno notizia. Il primo è che la Chiesa deve scusarsi con i gay, il secondo è che Martin Lutero fu un “riformatore” e rappresentò una “medicina” per la Chiesa cattolica che era malata. Partiamo dai gay. Di che cosa dovrebbe scusarsi la Chiesa? Bergoglio risponde, genericamente, che dovrebbe scusarsi per averli offesi. Quando, come, perché? Non lo dice. […]. E ora la questione di Lutero, il “riformatore” che, secondo Bergoglio, sarebbe stato una “medicina” per la Chiesa. Anche in questo caso, ne prendiamo atto. E noi, poveri cattolici, che pensavamo che Lutero e la riforma protestante fossero stati una malattia, e che la medicina fosse stata, semmai, la controriforma» (op. cit., pp. 179-180).
L’occamismo nominalista alla radice della “nuovissima morale”
Per capire l’origine di questo relativismo morale di Bergoglio, che potrebbe essere qualificato come “nuovissima morale”, occorre risalire alla sua origine. Penso che essa sia il nominalismo occamista. Infatti il nominalismo4 ritiene che i concetti universali5 ed anche la natura o l’essenza reale (generica6 e specifica7) non hanno nessuna realtà oggettiva fuori della mente pensante; l’unica realtà extra-mentale è la cosa singolare, l’individuo (per esempio, Antonio): “nihil est praeter individuum” è l’assioma che riassume e definisce il nominalismo e la pastorale morale di papa Bergoglio.
Inoltre il nominalismo radicale di Occam riducendo l’essere al pensiero, deprime la capacità della ragione umana di conoscere la realtà e spalanca la via allo scetticismo e all’agnosticismo. Ora il modo di pensare e di parlare di Bergoglio, come ci è stato presentato dalle citazioni di Aldo Valli, denotano una forte dose di scetticismo relativista e agnostico.
In breve per Occam e Bergoglio l’uomo ha solo una conoscenza sensibile del singolare, del fenomeno che cade sotto i sensi, di ciò che è sperimentabile.
Le conseguenze morali del nominalismo
L’errore principale, che sta alla base della “nuovissima morale” soggettivista e relativista detta “della situazione” fatta propria e radicalizzata da Bergoglio, risiede nella filosofia nominalista, moderna e contemporanea e nella teologia protestantica e modernistica, che sostituiscono l’io pensante alla realtà oggettiva ed annullano la libertà umana ed il valore delle opere buone oggettive e reali per rimpiazzarle col sentimento morale soggettivistico dell’uomo, che si trova a vivere e ad agire in una particolare situazione.
In breve è lo stesso errore del modernismo classico, ma trasposto dal campo teoretico e dogmatico a quello pratico e morale. Il modernismo dogmatico dopo aver fatto tabula rasa, da Giovanni XXIII a Benedetto XVI, nel campo teoretico si è scagliato, con Francesco I, contro quello pratico ed etico con la “nuovissima morale” della situazione, la quale rappresenta lo stadio terminale del neo-modernismo, che vuol distruggere anche l’agire umano morale secondo la natura e la legge divina.
La conclusione pratica e morale del nominalismo, negando filosoficamente che ogni uomo mantiene la stessa essenza o natura di essere umano (animale razionale e libero) nelle situazioni particolari e concrete in cui si trova a vivere, è che la situazione soggettiva ha il primato sulla legge morale e diventa, così, la regola dell’agire etico dell’uomo. È la situazione soggettiva che rimpiazza la legge e la morale oggettiva. Questa è la “nuovissima teologia” bergogliana.
È per questo che Bergoglio, in pratica, nega la moralità intrinseca della azioni umane, poiché il criterio della moralità è estrinseco all’oggetto dell’azione umana.
In cosa consiste tale “nuovissima morale”?
Più che un vero e proprio sistema di teologia morale, la morale neo-modernistica della situazione è una mentalità sentimentalistica, secondo il modus operandi soggettivistico a-dogmatico ed irrazionale del modernismo.
L’errore fondamentale della “nuovissima morale” bergogliana consiste nel voler sostituire alla morale oggettiva e naturale e alle regole oggettive di essa, le aspirazioni, i sentimenti, le esperienze morali soggettive e personali dell’individuo concreto.
Coscienza morale e psicologica
La “nuovissima morale” parla molto di coscienza soggettiva8. Ora la coscienza ha due significati: uno morale e uno psicologico. Il significato principale è quello morale e quindi essenzialmente la coscienza è la consapevolezza morale della bontà o malizia degli atti umani. Specialmente oggi, però, con la morale bergogliana soggettiva della situazione, la coscienza viene scambiata con il significato psicologico, ossia con l’uomo che è cosciente o consapevole di esistere, agire e reclama il primato assoluto della coscienza soggettiva sulla realtà oggettiva9.
San Tommaso d’Aquino definisce la coscienza come un atto di giudizio pratico, relativo all’agire, con il quale si applicano i princìpi universali alle azioni particolari (S. Th., I, q. 79, a. 13).
Quindi – secondo la retta morale – la coscienza applica la norma morale oggettiva al caso particolare e non crea – come vorrebbe la “nuovissima morale” neomodernistica – la norma a seconda della situazione soggettiva in cui ci si trova. Quindi non è esatto dire che la coscienza soggettiva determina e stabilisce arbitrariamente ciò che è bene e ciò che è male. La retta morale oggettiva e tradizionale insegna che il soggetto umano riconosce mediante la coscienza ciò che è oggettivamente bene e da farsi e ciò che è oggettivamente male e da evitarsi.
Il termine “coscienza” corretto è quello morale, ossia il giudizio col quale la persona valuta le proprie azioni in quanto moralmente buone o cattive. Inoltre la voce della coscienza, dopo aver giudicato se un’azione è moralmente buona o cattiva, dice all’uomo se è suo dovere compierla o no e poi approva l’azione buona (la tranquillità della buona coscienza) e disapprova quella cattiva (il rimorso della coscienza). La coscienza morale è il giudice interiore di ogni uomo. Il compito della coscienza morale è quello di applicare i precetti oggettivi della legge morale naturale e divina ai casi singoli, alle singole situazioni soggettive in cui l’uomo si trova a dover agire10.
La morale coniugale
Si veda l’assalto che si sta scatenando, oggi nella fase terminale dell’ultra-modernismo bergogliano, contro la morale coniugale (sacramenti ai divorziati, che vogliono continuare a convivere…) e naturale (i matrimoni omosessuali legalizzati; l’affidamento dei figli alle coppie omosessuali e l’incitamento, sotto forma di educazione sessuale, al peccato contro la purezza anche omosessuale insegnato all’asilo sin dai quattro anni…).
Questo funesto principio oggi sta cercando di conciliare ciò che è moralmente inconciliabile, ossia l’etica oggettiva e il soggettivismo filosofico, che distrugge l’oggettività della morale, rendendola soggettiva, individuale e personale, vale a dire una morale della situazione, per cui in questa situazione per me (hic et nunc) il tal Comandamento (oggettivo)11 o la tal Virtù (oggettiva)12 non è praticabile e quindi non mi obbliga.
Le conseguenze sono l’indebolimento dello spirito di fede, della pratica delle buone opere ed infine della virtù di umiltà, che ci fa accettare i nostri limiti e riconoscere i nostri sbagli con vero dolore e sincero proponimento della volontà di correggerci, conformando la nostra condotta alla morale oggettiva e non perseverando nel male.
Pio XII ha condannato la “nuovissima morale”
La Chiesa, con lungimiranza, aveva già condannato, negli anni Cinquanta, la nuova morale della situazione con tre solenni dichiarazioni pontificie: Pio XII, Radiomessaggio agli educatori cristiani del 23 marzo 1952 (AAS, n. 44, 1952, p. 273); Discorso ai delegati dellaFédération mondiale des jeunesses féminines catholiques (AAS, n. 44, 1952, p. 414); Discorso in occasione del quinto Congresso mondiale di psicologia clinica del 13 aprile 1953 (AAS, n. 45, 1953, p. 278) ed infine con il Decreto del S. Uffizio del 2 febbraio 1956 (AAS, n. 48, 1956, pp. 144-145). Il Papa, nel primo intervento, condannava il voler sostituire alla legge divina e naturale il proprio arbitrio soggettivo; nel secondo equiparava la nuova morale alla filosofia idealista, attualista, esistenzialista e soggettivista ed infine, nel terzo, metteva in guardia dal voler lasciare la morale tradizionale per adattarsi ed aggiornarsi alle esigenze dell’uomo moderno e concreto in tutte le situazioni in cui si trova ad agire.
Il S. Uffizio, poi, ricordava che la morale oggettiva e tradizionale ha sempre studiato le circostanze(quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando / chi, cosa, dove, con quali mezzi, perché, come, quando13) che accompagnano l’atto umano nella sua moralità, ma non ha mai messo le circostanze, le esigenze soggettive e situazionali al posto della legge e morale oggettiva naturale e divina. Le circostanze possono mutare la specie del peccato (per esempio, se “chi / quis” viene ucciso è una persona che ha fatto il voto di religione ci si macchia anche di sacrilegio oltre che di omicidio); possono diminuirla ed anche annullarla (se qualcuno è costretto sotto tortura, “con quali mezzi / quibus auxiliis”, a rivelare un segreto); oppure possono aggravarla (se si ruba una materia grave si commette peccato mortale, mentre se si ruba una materia lieve si commette peccato veniale), ma non sono la legge e la morale.
La circostanza è qualcosa che sta attorno (“circumstare”) ad un nucleo essenziale, come suo accessorio. In teologia morale si parla delle circostanze dell’atto umano in quanto morale, le quali sopravvengono a modificare14 l’eticità dell’atto, che è data essenzialmente dall’oggetto, il quale è la fonte o il nucleo primario della moralità degli atti, mentre le circostanze sono la parte secondaria e accessoria, ma non per questo insignificante15.
La morale agnostica
Essa vuol ignorare ogni oggetto da cui l’uomo possa dipendere e rifiuta di porsi il problema della verità. L’agnosticismo limita la possibilità di conoscere la verità soprattutto riguardo a Dio, che sarebbe totalmente inconoscibile dall’uomo. Esso riduce la conoscenza umana da razionale a puramente sensibile o animale. Quindi trascura le essenze, il perché delle cose, il Trascendente. Non nega per principio o teoreticamente questi oggetti, come fa l’ateismo, ma è indifferente, non se ne cura, anzi afferma che in pratica è meglio non pensarci. Di qui il disprezzo di Bergoglio per la teologia e la dottrina. In un certo senso è una filosofia peggiore anche dell’ateismo, che almeno si pone il problema di Dio, anche se poi ne nega l’esistenza. Invece l’agnosticismo non vuol pensarci. Il modernismo, adottando l’agnosticismo kantiano, è una forma di agnosticismo teologico, che risolve il problema di Dio per via di sentimento o esperienza religiosa.
In campo filosofico l’agnosticismo afferma che 1°) la ragione è limitata alla “conoscenza” empirica degli oggetti sensibili; 2°) la Trascendenza non esiste o al massimo è inconoscibile. Da questi due errori principali dello scetticismo ne derivata la conclusione radicalmente annichilatrice della ragione, della morale e persino dell’essere creato e Increato. Nel nichilismo filosofico post-moderno si ritrovano i due princìpi fondamentali dell’agnosticismo, che dunque è il filo conduttore di tutta la modernità e post-modernità. L’agnosticismo, assieme allo scetticismo, hanno causato 1°) la eclissi della ragione (v. il marxismo e la priorità della praxis con una mano tesa alla religione ammodernata e aggiornata); addirittura 2°) la sua distruzione o annichilazione (v. il nichilismo freudiano radicale della Scuola di Francoforte); ed infine 3°) la morte dell’uomo, che per natura e nella sua essenza è un animale razionale (v. “il pensiero selvaggio” del nichilismo strutturalistico francese sessantottino). Ora la mortificazione o uccisione della ragione è la mortificazione o annichilazione e demotivazione dell’uomo, (che nella sua essenza è razionale) ed anche della verità, (che è conosciuta con la ragione). Ciò equivale a rinunziare a pensare e a giungere alla verità, cioè colpire a morte, nella sua natura, la vita umana poiché senza ragionare e senza verità non vi è più l’agire per eccellenza dell’uomo (“animale razionale e libero”, Aristotele) e il suo scopo (“conoscere il vero ed amare il bene”), cioè ciò che rende l’uomo veramente uomo, la sua essenza o causa formale e il suo scopo o causa finale. Restano solo la causa materiale (il puro corpo, come negli animali) e una causa efficiente, che non si sa quale sia poiché la modernità nega il principio di causalità (“se c’è un effetto c’è una causa”). Inoltre ogni ente agisce per un fine (“omne agens agit propter finem”), quindi la modernità togliendo la finalità all’uomo, che è necessariamente legata alla sua natura di ente vivente e ragionevole, lo de-motivizza e de-moralizza. Infine se si toglie la verità come oggetto di conoscenza, resta che si potrebbe conoscere solo il falso, che distorce, fuorvia, devia, demolisce ed infine dissocia, poiché è difformità con la realtà e se l’uomo perde il contatto con la realtà cade nella dissociazione mentale, ossia nella follia.
Inoltre l’agnosticismo è animato da una grande superbia nascosta sotto apparenze di umiltà ( “chi sono io per poter giudicare?”). Infatti esso preferisce ignorare la tendenza naturale dell’intelletto verso il vero, anziché assecondarla e cercare di adeguare il proprio pensiero agli oggetti reali che gli si trovano attorno e davanti e rifiutando di conformarsi al reale e al vero giunge a voler creare la realtà col pensiero: “cogito ergo sum”.
Conclusione
Nel libro di Valli sono affrontati anche altri temi stonati del pensiero bergogliano (la “sola misericordia”, l’accoglienza, il piacere al mondo, la dottrina luterana della “giustificazione”, il Dio non cattolico…). Li esporrò in un prossimo articolo per non tediare il lettore.
Qui mi son limitato a prendere atto di quanto sia vuoto il pensiero di Francesco e a mostrare le radici e il perché di tale pressappochismo, il quale risale al nominalismo che nega la realtà della essenza reale, del concetto universale e della capacità umana di conoscere la realtà oggettiva. Da questi princìpi non si può non arrivare a queste tristissime e debolissime conclusioni.
d. Curzio Nitoglia
1266” significa che Bergoglio è il 266° Papa della Chiesa.
ama
3Ora proprio in questi tempi mentre anche i teologi “conciliari” riconoscono la rottura tra l’insegnamento di Bergoglio e quello della Chiesa, mons. Bernard Fellay asserisce che bisogna mettersi sotto la giurisdizione di Bergoglio per evitare uno scisma…è veramente il caos eretto a principio in tutti i campi!
4 Sviluppato specialmente da Guglielmo Occam († 1349).
5 Per esempio, “umanità”.
6 Per esempio, “animale”.
7 Per esempio, “umana”.
8 Cfr. E. Lio, Conscientia, in Dictionarium morale et canonicum, Roma, 1962.
9 Cfr. P. Palazzini, La coscienza, Roma, Ares, 1961.
10Per esempio, la coscienza applica il comandamento “non uccidere” al caso particolare di una gravidanza indesiderata in un periodo difficile. Anche in quel caso o situazione particolare, per quanto difficile possa essere, la voce della coscienza dice che non è lecito uccidere l’innocente per alleviare le difficoltà soggettive dell’individuo concreto in quella determinata situazione.
11 Per esempio il comandamento: “non uccidere”, oggettivo, universale e negativo obbliga sempre e per sempre, ma se nella situazione particolare (accettare un figlio indesiderato) di una persona, soggettivisticamente considerata (una giovane che non si è ancora fatta una strada nella vita), riesce troppo gravoso, non obbliga e si può abortire. Così pure se sopportare un anziano malato diventa difficilmente sopportabile, in determinate situazioni, allora è lecita l’eutanasia e così via.
12 Per esempio il voto di castità o il celibato ecclesiastico esistono oggettivamente, ma se nelle condizioni soggettive di un religioso, che si trova immerso nel mondo contemporaneo con tutte le sue esigenze, diventano troppo gravosi, non obbligano il soggetto.
13 Quis indica le qualità accidentali del soggetto operante, per esempio se è un sacerdote; quid esprime la quantità della materia, se ho rubato 1000 lire o 1 milione, se ho ucciso 1 o 7 persone; ubi accenna al luogo particolare, per esempio se ho rubato in chiesa; quibus auxiliis dice i mezzi con cui l’atto è stato compiuto, per esempio se ho calunniato a viva voce o mediante scritti pubblicati; cur è l’intenzione o il fine dell’azione, esso è la circostanza principale, per esempio se prego per farmi notare e per vanagloria; quomodo indica il modo in cui si è agito, per esempio se con piena avvertenza o no, oppure con violenza; quando indica il tempo, per esempio se ho portato odio per 1 minuto o per 1 anno, se ho rubato di domenica.
14 Ci sono circostanze che 1°) aumentano o diminuiscono la moralità proveniente principalmente dall’oggetto; per esempio, se rubo 1000 lire o 100 mila, commetto un peccato veniale o mortale contro il medesimo 7° comandamento. Vi sono anche circostanze che 2°) mutano la specie della moralità dell’atto, ossia apportano all’atto un’altra moralità di specie diversa da quella dell’oggetto principale; esse costituiscono un secondo oggetto morale distinto dal primo. Per esempio, se rubo un calice consacrato oltre l’oggetto del furto (peccato contro il 7° comandamento), vi è un altro oggetto morale che è il sacrilegio (peccato contro il 1° comandamento).
15 S. Th., I-II, q. 18; A. Lanza – P. Palazzini, Principi di teologia morale, Roma, 1957, vol. III, n. 117 ss.

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