Pagine

domenica 6 dicembre 2015

Per Vittorio Messori “certe parole del Papa” possono essere fraintese da persone non vicine alla Chiesa

di Bruno Volpe, La Fede Quotidiana, 27 novembre 2015

Da qualche tempo, il noto scrittore e giornalista cattolico, Vittorio Messori si è imposto il silenzio sulle cose della  Chiesa e sul Papa: ” Una scelta di responsabilità “, dice. Tuttavia, ha voluto parlare con noi sul senso dell’apologia, sul proselitismo ed anche sui corvi vaticani, lanciando di tanto in tanto frecciatina che dimostrano in Messori un certo senso di malessere.

Messori, abbiamo bisogno dell’ apologetica, oggi?

“Mai come oggi ne sentiamo il bisogno, certo. Guardi, che il primo, vero, grande apologeta della storia, è stato il Signore. Non uno qualunque. Penso all’episodio dei discepoli di Emmaus, quando se ne tornavano stanchi e delusi, sconfortati e forse nella disperazione. Gesù appare loro e spiega il senso delle Scritture e lo fa con ardore, ma mitezza. Non è forse apologetica, quella? Pertanto, considerando che il Signore è stato il primo apologeta, reputo che questo filone sia molto, moto importante e da incoraggiare, non deprimere”.

Perchè, allora, oggi l’ apologetica sembra in disuso?

“Lei mi pone una domanda interessante. La prima risposta sta in questo. Una malintesa idea di cattolico adulto ha fatto ritenere l’apologetica come un settore minore  e persino da evitare, una cosa vecchia e superata. Questo è un grave errore di prospettiva. Per altro verso, occorre anche riconoscere che l’ apologetica specialmente prima del Vaticano II, ha avuto in qualche esponente, toni da crociata o troppo forti e una certa approssimazione culturale. Il vero apologeta deve associare competenza e intendo rigore scientifico,  e allo stesso tempo pacatezza, senza intraprendere guerre di religione. Bisogna sempre abbinare fede e ragione che non sono entità nemiche. La verità si può e  si deve dire col sorriso”.

Papa Francesco dice che il cristiano non deve fare del proselitismo, concorda?

“Io capisco quello che vuole dire il Papa e  concordo quando per proselitismo si intenda quel modo di fare da piazzisti con la valigetta, invadenti e troppo fervorosi. Non ci si muove con la idea di imporre a forza, questo assolutamente no. Però bisogna riconoscere che il cristiano ha per dovere, perchè lo dice il Vangelo, quello dell’apostolato e da questo nessuno che si dica cristiano può derogare. Esiste un rischio di cattiva interpretazione delle parole del Papa. In un tempo nel quale persino la presenza alla messa domenicale è in crisi, sentire il Papa che dice basta al proselitismo o qualche volte pare bacchettare l’abitudine della celebrazione domenicale, lo ha detto a Santa Marta, potrebbe avere delle controindicazioni  in gente non molto informata e non vicina alla Chiesa”.

Crede che il concetto di “Chiesa sociale” sia maleinterpretato?

“Effettivamente noto un eccesso di Chiesa detta sociale, dei preti da strada, incline al populismo, al pauperismo e  talora anche alla demagogia. Dipende dal fatto che troviamo una sorta di inquinamento marxista nella Chiesa attuale e allora si finisce col parlare poco di Dio e  molto di altri valori quali l’economia  dando una visione diabolica della vita. Siamo sotto l’influsso della teologia della liberazione e sappiamo quanti e  quali negatività essa incarni ed abbia incarnato. Per capire come davvero bisogna muoversi, si leggano le vite dei santi sociali”.

Perchè?

“Prendiamo, io sono piemontese, la vita di san Giovanni Bosco. Indubbiamente egli pose il lavoro, la formazione professionale, il sociale tra le sue priorità. Tuttavia, la vera primizia per lui era la preghiera. Oggi si assiste alla posizione contraria: più mense, meno preghiere, con decremento del senso del sacro. La prima vera emergenza è quella di pregare di più e di rimettere Dio al centro della vita”.

Caso corvi in Vaticano: quei due libri, detto da un giornalista famoso, andavano scritti?

“Credo che quelle due pubblicazioni siano figlie di una bella e buona dose di cinismo, nel senso letterale del termine, e figlie di interessi economici ed editoriali. Non è affatto vero, come si vuole fare intendere, che rispondano ad un intento di moralizzazione. Il giornalista non sempre deve pubblicare quello che ha, anche se vero. Esiste un senso di responsabilità nel calcolare gli effetti e nel valutare sia le notizie, sia il modo di procurarsele. Dunque sia sul contenuto, che sul metodo nutro molte riserve.  Fatta questa premessa, dico che se i fatti narrati, dico se, sono veri, la Chiesa istituzione deve riflettere seriamente e fare un approfondito esame di coscienza”.

Nessun commento:

Posta un commento