Il vangelo secondo Hollywood.
Avatar: un film di Natale che predica il panteismo
Sta per arrivare nelle sale italiane il tanto acclamato film del regista americano James Cameron “Avatar” che, nonostante la crisi, ha già raggiunto quota un miliardo in circa tre settimane di proiezione: è infatti uscito nei cinema di gran parte del mondo lo scorso 18 dicembre (in Italia sarà sugli schermi il 15 gennaio), ma ha già incassato 1,02 miliardi di dollari. Avatar nasconde però, sotto una trama che può sembrare avvincente, una pericolosa apologia del panteismo, quella fede che equipara Dio con la Natura e che ormai da una generazione è la religione ufficiale propagandata da Hollywood…
E’ del tutto appropriato che il film di James Cameron, “Avatar” giunga sugli schermi nel periodo natalizio. Come l’intera stagione delle feste anche l’epica fantascientifica è la grossolana esemplificazione degli eccessi del capitalismo avvolta attorno ad un profondo messaggio religioso. Così Avatar è allo stesso tempo il blockbuster di tutti i blockbuster e il Vangelo Secondo James. Non però il Vangelo cristiano. Piuttosto Avatar è l’apologia cameroniana del panteismo, quella fede che equipara Dio con la Natura e chiama l’umanità alla comunione con il mondo che la circonda. Nell’universo fantascientifico di Cameron, questa comunione è impersonata dai Na’Vi, una razza aliena dalla pelle blu e dalle forme armoniose che vive un’esistenza idilliaca sul pianeta Pandora ed è minacciata dall’invasore umano. I Na’Vi vengono salvati dall’eroe del film, un Marine rinnegato, ma in loro soccorso si aggiunge la fede in Eywa, la “Madre di tutto”, descritta variamente come una rete di energia o come la somma di tutti i viventi. Se questo impianto narrativo suona familiare è perché il panteismo è stata la religione ufficiale di Hollywood ormai da una generazione. E’ la verità che Kevin Costner scopre ballando con i lupi. E’ la metafisica intessuta nei cartoni animati di Disney come “Il Re Leone” e “Pocahontas”. Ed è il dogma degli Jedi di George Lucas, la cui mistica Forza “ci circonda, ci penetra e tiene insieme la galassia”. Hollywood continua a tornare su questi temi perché milioni di americani mostrano di gradirli. Da Deepak Chopra a Eckhart Tolle, la sezione “religione e spiritualità” di ogni libreria di quartiere è traboccante di titoli che spingono il messaggio panteistico. In un recente sondaggio del Pew Forum su come gli americani mescolano e rimaneggiano la teologia si vede che molti auto-dichiarati “cristiani” credono all’energia spirituale degli alberi e delle montagne proprio come i pelle-blù di Na’Vi. Come sempre, Alexis di Tocqueville l’aveva previsto. Il credo americano sulla sostanziale unità di tutto il genere umano, scriveva Tocqueville nel 1830, conduce al collasso delle distinzioni ad ogni livello del creato. “Non contento della scoperta che nel mondo esiste solo la creazione e il Creatore, l’uomo democratico cerca di semplificare ed espandere il suo punto di vista includendo Dio e l’universo in un unico grande insieme”. Allo stesso tempo, il panteismo apre un cammino verso esperienze mistiche per persone poco a loro agio con la letteralità delle religione monoteistiche: tutti quei santi che fanno miracoli, libri sacri, nascite virginali e corpi risorti. Come ha notato il filosofo polacco Leszek Kolakowski, attibuire divinità al mondo naturale “aiuta a portare Dio più vicino all’esperienza umana”, e insieme “a impoverirlo di tratti personali riconoscibili”. Per chiunque in cerca di trascendenza ma refrattario all’idea di un Onnipotente che interferisce con le cose umane, si tratta di una combinazione ideale. D’altronde il panteismo rappresenta una forma di religione che persino gli atei possono ammettere. Richard Dawkins ha definito il panteismo “un ateismo un po’ più eccitante” (lui lo intende come un complimento). Sam Harris conclude il suo polemico “The End of Faith” con un elegiaca descrizione dell’esperienza mistica collegata “all’immersione nell’inquietante mistero del mondo”. E, citando l’espressione di stupore religioso di Albert Einstein davanti alla “sublime bellezza dell’universo”, Dawkins ammette: “in questo senso sono religioso anch’io”. La domanda a questo punto è se la Natura meriti una risposta religiosa. La teologia tradizionale deve combattere con il problema del male: se Dio è bontà, perché permette sofferenza e morte? Ma la Natura è sofferenza e morte. La sua stessa armonia richiede la violenza. Il suo “cerchio della vita” è in realtà un ciclo di mortalità. E le società umane che più aderiscono alla dimensione naturale non somigliano allo sfavillante eden di James Cameron. Sono invece posti dove l’esistenza è cattiva, breve e brutale. Le religioni esistono anche perché gli uomini non si sentono a loro agio dinanzi alla violenza dei ritmi naturali. Noi ci collochiamo metà dentro e metà fuori rispetto alla Natura. Siamo animali autocoscienti, predatori con un’etica, creature mortali che aspirano all’immortalità. E’ una posizione dolorosa, e se non c’è via di fuga verso l’alto – o se non c’è un Dio che si fa di carne e viene in mezzo a noi, come racconta la storia del Natale – anche profondamente tragica. Il panteismo offre una soluzione diversa: un’uscita verso il basso, un abbandono della nostra tragica autocoscienza, un rimescolamento con quel mondo naturale da cui i nostri antenati sono per metà fuggiti millenni orsono. Ma salvo che come cenere e polvere la Natura non può riaverci del tutto.
Tratto da New York Times.
Nostra traduzione da "Heaven and Nature "di Ross Douthat.
di Ross Douthat
L’Occidentale 23 Dicembre 2009
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