lunedì 23 novembre 2015

Sinodo sopravvalutato. Nella Chiesa c'è prima di tutto una crisi di fede

È ciò che sostiene il cardinale africano Robert Sarah nel suo libro "Dio o niente" e nella discussione che ne è seguita. In esclusiva l'anticipazione di un suo intervento, sul prossimo numero de "L'Homme Nouveau" 

di Sandro Magister

ROMA, 19 novembre 2015 – Nelle quattro pagine fitte del dossier che la rivista cattolica francese "L'Homme Nouveau" si appresta a pubblicare nel suo prossimo numero, la parola "sinodo" non ricorre neanche una volta. E tanto meno vi si trova citata la "Relatio finalis" che i padri sinodali hanno consegnato al papa.

Eppure, tra gli argomenti toccati nel dossier vi sono quelli che nel doppio sinodo sulla famiglia sono stati i più controversi, dall'omosessualità alla comunione ai divorziati risposati.

E soprattutto, l'autore del dossier è stato un protagonista del sinodo di assoluto rilievo. È il cardinale Robert Sarah, 70 anni, guineano, nominato un anno fa da papa Francesco prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, quindi con competenza ed autorità proprio riguardo ai tre sacramenti al centro delle discussioni sinodali: il matrimonio, l'eucaristia e la penitenza.

Perché, allora, questo silenzio?

Il cardinale Sarah è diventato noto in tutto il mondo per lo straordinario interesse che ha suscitato quest'anno il suo libro intitolato "Dio o niente", edito in Italia da Cantagalli.

Un libro che fin dal titolo mette in cima alle questioni vitali della cattolicità la crisi di fede che l'attraversa.

Dai lettori di questo suo libro sono arrivati a Sarah molti commenti, favorevoli e contrari. E nel dossier che sta per uscire su "L'Homme Nouveau" il cardinale risponde a un buon numero delle obiezioni ricevute.

Ma appunto, ciò che anche queste obiezioni rivelano ha convinto ancor più il cardinale Sarah che il caso serio della Chiesa di oggi è proprio una crisi di fede.

Una crisi che è anteriore alle questioni dibattute nel sinodo, perché tocca i fondamenti stessi della fede cattolica e mette allo scoperto un diffuso analfabetismo riguardo all'insegnamento secolare della Chiesa, presente anche tra il clero, cioè proprio tra chi dovrebbe fare da guida ai fedeli.

Arriva a dire il cardinale, a proposito del sacramento dell'eucaristia:

"La Chiesa intera ha sempre tenuto fermo che non si può fare la comunione avendo coscienza di essere in stato di peccato mortale, principio richiamato come definitivo da Giovanni Paolo II nel 2003 nella sua enciclica 'Ecclesia de Eucharistia'", sulla base di quanto decretato dal concilio di Trento.

E subito dopo aggiunge:

"Nemmeno un papa può dispensare da una tale legge divina".

Qui di seguito c'è l'anticipazione – gentilmente autorizzata da "L'Homme Nouveau" – di una parte del dossier, nel quale si nota come, per rispondere ai suoi obiettori sulle questioni discusse nel sinodo, il cardinale Sarah debba prima di tutto rinfrescare in essi i dati elementari della dottrina, comprese quelle costituzioni dogmatiche del concilio Vaticano II tanto citate ma poco conosciute per quello che dicono davvero.

Il dossier uscirà sulla rivista francese nel numero datato 21 novembre 2015:

Eccone dunque un'anticipazione, con titoli redazionali. 

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Quattro obiezioni, quattro risposte e una conclusione

di Robert Sarah


1. LA DOTTRINA, VOTIAMOLA A MAGGIORANZA


D. – Secondo uno dei miei obiettori, la Chiesa cattolica "non è solo la gerarchia dei vescovi, compreso quello di Roma, ma è l'insieme dei battezzati. Per dire qual è la 'posizione della Chiesa' sarebbe quindi legittimo assumere il parere di questa maggioranza".

R. – La prima affermazione è esatta. Ma il pensiero dei fedeli non rappresenta la "posizione della Chiesa" se non è esso stesso in accordo con il corpo dei vescovi.

Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica "Dei Verbum", n. 10: "L'ufficio d'interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo".

Inoltre, non si tratta di maggioranza, ma di unanimità. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica "Lumen gentium", n. 12:

"La totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando, dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici, mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita".

Infine, questa unanimità è una condizione sufficiente per dichiarare che un'asserzione è nel deposito rivelato di Dio (come nel caso dell'Assunzione di Maria), ma non è una condizione necessaria: può avvenire che il magistero definisca solennemente una dottrina di fede prima che l'unanimità sia raggiunta (come per l'infallibilità pontificia, nel concilio Vaticano I).


2. LA COMUNIONE A TUTTI, SENZA DISCRIMINAZIONI


D. – Secondo un obiettore di cui ammiro la fedeltà nel sacerdozio, migliaia di preti non esitano a dare la comunione a tutti.

R. – Anzitutto notiamo l'assenza di autorità dottrinale di questa miriade di ministri sacri, per altri versi sicuramente rispettabili. Inoltre, checché ne sia dell'autenticità di questa "statistica", questa posizione mescola, tra le persone che vivono in uno stato notorio e abituale di peccato (ad esempio adulterio e infedeltà permanente al proprio coniuge, furti frequenti e gravi negli affari):

a) un fedele che finalmente si pente con il fermo proposito di evitare di cadere in futuro, riceve quindi la santa assoluzione e di conseguenza può accostarsi alla santa eucaristia, e

b) il fedele che non vuole cessare in futuro dal compiere atti di una colpevolezza oggettiva grave, contraddicendo la Parola di Dio e l'alleanza significata precisamente dall'eucaristia.

Quest'ultimo caso esclude il "fermo proposito" definito dal concilio di Trento come necessario per essere perdonati da Dio. Precisiamo che questo fermo proposito non consiste nel sapere che non si peccherà più, ma nel prendere con la propria volontà la decisione di impiegare i mezzi atti a evitare il peccato. Senza fermo proposito (e salvo un'ignoranza totale non colpevole), un tale cristiano resterebbe in uno stato di peccato mortale e commetterebbe un peccato grave comunicandosi.

Nell'ipotesi che il suo stato sia conosciuto pubblicamente, i ministri della Chiesa, da parte loro, non hanno alcun diritto di dargli la comunione. Se lo fanno, il loro peccato sarà più grave davanti al Signore. Sarebbe inequivocabilmente una complicità e una profanazione premeditata del Santissimo Sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù.


3. RISPOSATA E ATTIVA IN PARROCCHIA. PERCHÉ NIENTE COMUNIONE?


D. – Una persona che mi scrive e la cui età ispira il più grande rispetto evoca il caso di una cattolica, divorziata in seguito a violenze coniugali, che vive come "risposata" ma partecipa intensamente alla vita della sua parrocchia. Ciò non dovrebbe incitarci a dare la santa comunione a questa persona?

R. – Riconosco la generosità di cuore soggiacente all'obiezione. Ma questa mescola o dimentica diversi aspetti. Eccoli.

1. Se si subiscono violenze coniugali, si ha il diritto di lasciare il proprio coniuge (Codice di diritto canonico, canone 1153).

2. La Chiesa permette di chiedere con il divorzio gli effetti civili di una separazione legittima (Giovanni Paolo II, 21 gennaio 2002, discorso alla Rota romana). Il semplice divorzio non esclude dai sacramenti.

3. Un coniuge che si abbandona in modo abituale a delle violenze coniugali soffre probabilmente di una malattia psichica, che forse è causa di nullità del suddetto matrimonio fin dall'inizio (Codice di diritto canonico, canone 1095 § 3).

4. Se la Chiesa dichiara la nullità del primo matrimonio, la vittima potrebbe contrarne un altro, posto che vi siano le altre condizioni di questo sacramento.

5. Può capitare che un divorziato, per delle ragioni importanti, per esempio l'educazione di figli, non possa lasciare il suo secondo coniuge. In questo caso, per potere essere assolto e accedere alla santa comunione, la persona deve impegnarsi a non compiere più con questo secondo coniuge gli atti che, secondo la legge divina, sono riservati ai veri sposi ("Familiaris consortio", n. 84). Ora, l'esperienza di numerose coppie mostra che se ciò spesso è molto difficile, nondimeno è possibile con l'aiuto della grazia di Dio, una direzione spirituale e la pratica frequente del sacramento della riconciliazione. In effetti quest'ultima permette, in caso di cadute, di ripartire più fermamente sulla buona strada, progredendo gradualmente verso la castità.

6. La partecipazione alla vita parrocchiale di un divorziato risposato non ancora pronto a promettere la castità dispone precisamente ad aprire il proprio cuore alla grazia di fare questa promessa necessaria ("Familiaris consortio", n. 84).


4. LA FAMIGLIA AFRICANA NON È QUELLA CHE CI DITE


D. – Secondo una altro prete che si appoggia alla sua esperienza di missionario "Fidei donum" in Africa, la famiglia africana non corrisponderebbe alla descrizione che ne ho dato.

R. – Io non so di quale paese e diocesi africana parli questo prete. Ma in Africa occidentale, malgrado la presenza massiccia dell'islam, nella pura tradizione dei nostri antenati il matrimonio è monogamico e indissolubile. Ne parlo nel mio libro "Dio o niente". Ho quindi affermato che "a tutt'oggi, la famiglia in Africa resta stabile, solida, tradizionale".

Non intendevo in alcun modo dire che la famiglia africana non cristiana sarebbe un modello, poiché essa soffre evidentemente dell'impronta del peccato e conosce anch'essa le sue difficoltà. Intendevo semplicemente dire che nella cultura africana in generale:

1. la famiglia resta fondata su una unione eterosessuale;

2. il matrimonio è visto senza il divorzio, malgrado il paradigma della poligamia simultanea;

3. è aperto alla procreazione;

4. i legami familiari sono visti come sacri.

Non è proprio questo che ha voluto sottolineare il mio corrispondente missionario? (Sottolineo qui la generosità dei "Fidei donum", cioè dei preti diocesani occidentali che si fanno evangelizzatori volontari in paesi di missione).

D'altra parte, la questione che egli solleva è un altra: è quella dell'eventuale progressività graduale della pastorale dell'evangelizzazione delle famiglie non cristiane, ancora imbevute di deviazioni provocate dal peccato, ma delle quali alcune tradizioni possono essere evangelizzate e servire da punto di partenza per l'annuncio del Cristo.

In ogni caso, se il mio corrispondente sembra implicitamente accusarmi d'aver ridotto "la famiglia africana" a quella che vive l'ideale cristiano, neppure si può ridurla in senso inverso alla tipologia poligama, sia di religione "tradizionale", sia musulmana.


CONCLUSIONE. IL MAGISTERO DELLA CHIESA, QUESTO SCONOSCIUTO


Per concludere, mi sento ferito nel mio cuore di vescovo, nel constatare una tale incomprensione dell'insegnamento definitivo della Chiesa da parte di confratelli sacerdoti.

Non posso permettermi di immaginare come causa d'una tale confusione altro che l'insufficienza della formazione dei miei confratelli. E in quanto responsabile per tutta la Chiesa latina della disciplina dei sacramenti, sono tenuto in coscienza a ricordare che  il Cristo ha ristabilito il disegno originario del Creatore di un matrimonio monogamico, indissolubile, ordinato al bene degli sposi, come pure alla generazione e all'educazione dei figli. Egli ha inoltre elevato il matrimonio tra battezzati al rango di sacramento, significante l'alleanza di Dio con il suo popolo, proprio come l'eucaristia.

Ciò nonostante, esiste anche un matrimonio che la Chiesa chiama "legittimo". La dimensione sacra di questo matrimonio "naturale" ne fa un elemento d'attesa del sacramento, a condizione che rispetti l'eterosessualità e la parità dei due sposi quanto ai loro diritti e doveri specifici, e che il consenso non escluda la monogamia, l'indissolubilità, la perpetuità e l'apertura alla vita.

Viceversa, la Chiesa stigmatizza le deformazioni introdotte nell'amore umano: l'omosessualità, la poligamia, il maschilismo, la libera unione, il divorzio, la contraccezione, ecc. In ogni caso, essa non condanna mai le persone. Ma non le lascia nel loro peccato. Come il suo Maestro, ha il coraggio e la carità di dire loro: va e d'ora in poi non peccare più.

La Chiesa non solo accoglie con misericordia, rispetto e delicatezza. Invita fermamente ala conversione. Al suo seguito, io promuovo la misericordia verso i peccatori – lo siamo tutti – ma anche la fermezza di fronte ai peccati incompatibili con l'amore verso Dio, professata con la comunione sacramentale. Non è questo se non imitare l'attitudine del Figlio di Dio che si rivolge alla donna adultera: "Neppure io ti condanno. Va e d'ora in poi non peccare più" (Gv 8, 11)?

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Sul libro "Dio o niente", edito in Italia da Cantagalli, e sul suo autore:

> Un papa dall'Africa nera (10.4.2015)

La "recensione" del libro fatta dal papa emerito Benedetto XVI, in una lettera al cardinale Sarah:

"Ho letto 'Dieu ou rien' con grande profitto spirituale, gioia e gratitudine. La sua testimonianza della Chiesa in Africa, della sua sofferenza durante il tempo del marxismo e di una vita spirituale dinamica, ha una grande importanza per la Chiesa, che è un po' spiritualmente stanca in Occidente. Tutto ciò che lei ha scritto per quanto riguarda la centralità di Dio, la celebrazione della liturgia, la vita morale dei cristiani è particolarmente rilevante e profondo. La sua coraggiosa risposta ai problemi della teoria del 'genere' mette in chiaro in un mondo obnubilato una fondamentale questione antropologica".

Sarah è stato anche uno degli undici cardinali che alla vigilia del sinodo dello scorso ottobre si sono pronunciati in difesa della dottrina e della pastorale tradizionali del matrimonio in un libro edito in inglese da Ignatius Press, in italiano da Cantagalli, in francese da Artège, in tedesco da Herder e in spagnolo da Ediciones Cristiandad.

Ed è stato pure uno degli undici vescovi africani, tra i quali sette cardinali, che sempre alla vigilia del sinodo hanno richiamato l'attenzione sull'apporto dell'Africa all'attuale stagione della Chiesa, in un libro edito in inglese da Ignatius Press e in italiano da Cantagalli:

> Erano cinque e ora sono diciassette i cardinali anti-Kasper (31.8.2015)

Sarah è stato inoltre uno dei tredici cardinali che all'inizio del sinodo hanno espresso a papa Francesco le loro "preoccupazioni" in una lettera a lui consegnata personalmente:

> Tredici cardinali hanno scritto al papa. Ecco la lettera (12.10.2015)

E i padri sinodali l'hanno successivamente eletto tra i dodici loro rappresentanti nel consiglio di cardinali e vescovi che resterà in carica fino al prossimo sinodo.

lunedì 16 novembre 2015

La Santa Comunione fai da te!!! - Sì, no, non so, fate voi. Le linee guida di Francesco all'intercomunione con i luterani


"È l’ora della diversità riconciliata", ha detto papa Francesco nella Christuskirche luterana di Roma nella quale si è recato in visita.

Una riconciliazione che per lui si sostanzia nelle opere di carità, senza troppo insistere sulle diversità dogmatiche e di "dottrina": una parola, ha detto, tanto "difficile da capire".

Jorge Mario Bergoglio ha parlato a braccio, accantonando l'omelia scritta che era stata predisposta. E naturalmente ha risposto a braccio anche alle domande che gli sono state rivolte dai presenti.

Una di queste ha toccato la questione dell'intercomunione, cioè la possibilità o no di partecipare alla stessa comunione eucaristica tra cristiani di diverse confessioni. Intercomunione che la Chiesa cattolica ammette – a particolari condizioni – con le Chiese ortodosse, ma non con le protestanti, a motivo della concezione troppo diversa che queste hanno della presenza di Gesù nell'eucaristia.

Alla domanda papa Francesco ha risposto lungamente. La trascrizione ufficiale delle sue parole è riprodotta integralmente più sotto.

Ma se si arriva alla fine della risposta, uno proprio non sa che cosa egli abbia voluto dire. In certi momenti sembra propendere per il sì. In altri momenti per il no. In altri ancora si fa scudo della propria incompetenza a decidere. Oppure rinvia tutto alle scelte dei singoli: "È un problema a cui ognuno deve rispondere".

Ed è forse quest'ultimo il succo che uno finisce col trarre. Il no della Chiesa all'intercomunione tra cattolici e luterani è stato di fatto rimesso in discussione dal papa. Un nuovo "processo" è stato da lui avviato. Non si sa verso dove. E intanto ciascuno si regoli come vuole.

*

D. – Mi chiamo Anke de Bernardinis e, come molte persone della nostra comunità, sono sposata con un italiano, che è un cristiano cattolico romano. Viviamo felicemente insieme da molti anni, condividendo gioie e dolori. E quindi ci duole assai l’essere divisi nella fede e non poter partecipare insieme alla Cena del Signore. Che cosa possiamo fare per raggiungere, finalmente, la comunione su questo punto?

R. – Grazie, Signora. Alla domanda sul condividere la Cena del Signore non è facile per me risponderLe, soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper! Ho paura! Io penso che il Signore ci ha detto quando ha dato questo mandato: “Fate questo in memoria di me”. E quando condividiamo la Cena del Signore, ricordiamo e imitiamo, facciamo la stessa cosa che ha fatto il Signore Gesù. E la Cena del Signore ci sarà, il banchetto finale nella Nuova Gerusalemme ci sarà, ma questa sarà l’ultima. Invece nel cammino, mi domando – e non so come rispondere, ma la sua domanda la faccio mia – io mi domando: condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. È vero che in un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze fra noi, che abbiamo la stessa dottrina – sottolineo la parola, parola difficile da capire – ma io mi domando: ma non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme. Lei è una testimonianza di un cammino anche profondo perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. Abbiamo lo stesso Battesimo. Quando Lei si sente peccatrice – anche io mi sento tanto peccatore – quando suo marito si sente peccatore, Lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il Battesimo. Quando voi pregate insieme, quel Battesimo cresce, diventa forte; quando voi insegnate ai vostri figli chi è Gesù, perché è venuto Gesù, cosa ci ha fatto Gesù, fate lo stesso, sia in lingua luterana che in lingua cattolica, ma è lo stesso. La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali soltanto se uno è sincero con sé stesso e con le poche “luci” teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso, vedete voi. “Questo è il mio Corpo, questo è il mio sangue”, ha detto il Signore, “fate questo in memoria di me”, e questo è un viatico che ci aiuta a camminare. Io ho avuto una grande amicizia con un vescovo episcopaliano, 48enne, sposato, due figli e lui aveva questa inquietudine: la moglie cattolica, i figli cattolici, lui vescovo. Lui accompagnava la domenica sua moglie e i suoi figli alla Messa e poi andava a fare il culto con la sua comunità. Era un passo di partecipazione alla Cena del Signore. Poi lui è andato avanti, il Signore lo ha chiamato, un uomo giusto. Alla sua domanda Le rispondo soltanto con una domanda: come posso fare con mio marito, perché la Cena del Signore mi accompagni nella mia strada? È un problema a cui ognuno deve rispondere. Ma mi diceva un pastore amico: “Noi crediamo che il Signore è presente lì. È presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza?” – “Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…”. La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni. Sempre fate riferimento al Battesimo: “Una fede, un battesimo, un Signore”, così ci dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più.
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L'amico "vescovo episcopaliano" che papa Francesco ha qui ricordato era il sudafricano Tony Palmer. E la sua vedova cattolica è ritratta al fianco del papa nella foto che correda questo servizio di www.chiesa di un anno fa, ricco di informazioni in proposito:


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La documentazione integrale, orale e scritta, della visita di papa Francesco alla Christuskirche luterana di Roma è nel sito web del Vaticano.

domenica 15 novembre 2015

Doposinodo. Chaput cita Guardini e il papa anche, ma non si sa quanto vadano d'accordo

Nel dare udienza il 13 novembre alla Fondazione Romano Guardini, papa Francesco ha citato un passo del grande teologo italo-tedesco che è uno dei suoi pensatori preferiti.

È il passo in cui Guardini riprende un episodio da "I fratelli Karamazov" di Dostoevskij, quando la gente "va dallo starec Zosima per presentargli le proprie preoccupazioni e difficoltà" e si avvicina a lui anche una contadina che gli dice di aver ucciso il marito malato, il quale l’aveva molto maltrattata. Lo starec vede che la donna è convinta di essere condannata e per questo "le mostra una via d’uscita: la sua esistenza ha un senso – spiega – perché Dio la accoglie nel pentimento". E lei "viene trasformata e riceve di nuovo speranza".

Il papa non ha collegato questo passo alle discussioni che si sono svolte nel sinodo sull'accesso o no dei divorziati risposati alla comunione. Ma proprio la misericordia e il perdono sono gli argomenti dei favorevoli all'assoluzione sacramentale e alla comunione eucaristica anche per chi vive una seconda relazione pur essendosi precedentemente unito in un matrimonio valido, con ancora in vita il coniuge da cui si è separato.

Sul prossimo numero di "First Things", che uscirà ai primi di dicembre, l'arcivescovo di Philadelphia Charles J. Chaput contesta precisamente questo argomentare, in un saggio dedicato a illustrare il senso autentico del vicino anno giubilare della misericordia.

Chaput è stato un protagonista del sinodo dello scorso ottobre. Ed è stato anche il più votato nell'elezione dei dodici rappresentanti dell'episcopato mondiale, nel consiglio che farà da ponte tra l'ultimo sinodo e il prossimo.

Ebbene, per mostrare come la misericordia è indissolubile dalla giustizia e dalla verità, Chaput cita anche lui Guardini, in un passo da "La fede e l'uomo moderno":

"La mente dell'uomo cade malata quando abbandona l'ancoraggio alla verità, non per il mentire, anche se mente spesso, perché in questo caso la ferita dello spirito può essere sanata dal pentimento e dal rinnovo di un buon proposito, ma per un'intima rivolta contro la verità. La vera malattia della mente e dello spirito si verifica quando un uomo non onora più la verità ma la disprezza, quando la usa come un mezzo per i propri fini, quando nel profondo del suo animo la verità cessa di essere per lui il bene sommo, il più importante".

E continua:

"La verità è essenziale per il sacramento della riconciliazione. […] Per questa ragione la Chiesa ha sempre insistito sulla necessità del pentimento per i peccati gravi, come condizione per ricevere l'eucaristia. La confessione e un genuino pentimento – che include un allontanamento dal proprio peccato – devono precedere la comunione. Un sincero movimento verso Dio sempre comprende un distacco dal proprio peccato.

"E questo porta alle attuali proposte che delle persone divorziate e risposate civilmente debbano essere ammesse alla comunione senza un cambiamento di vita. […] Tali proposte ricevono forza dal fatto che molte delle persone che cercano di aiutare sono buone, bene intenzionate, legate a nuove relazioni, spesso con figli. Perché – prosegue il ragionamento – dovrebbe la Chiesa punirle ed escluderle?

"La risposta è naturalmente che la Chiesa non vuole né punire né escludere tali persone. Esse rimangono membri bene accetti della comunità credente. Ma la Chiesa non può né ignorare la parola di Dio sulla permanenza del matrimonio, né minimizzare le conseguenze di scelte che persone adulte fanno liberamente. Non può confermare le persone in comportamenti che le separano da Dio e nello stesso tempo rimanere fedele alla sua missione. L'autentica misericordia è evangelica. Muove dalla fede che la grazia di Dio ha il potere di trasformarci. Ironicamente, una strategia pastorale che minimizza il peccato nel nome della misericordia non può essere misericordiosa, poiché è disonesta.

"La Chiesa può essere veritiera senza essere misericordiosa, come gli scribi che volevano lapidare le adultere che violavano la legge di Mosè. Ma la Chiesa non può essere misericordiosa senza essere veritiera. E la verità è che siamo chiamati alla conversione. Un approccio pastorale che ignora questa verità implica meno fede, non di più. 'Colui che vuole adattare troppo se stesso', è un celebre monito di Henri De Lubac, 'rischia di lasciarsi spazzar via'. In effetti, è questo ciò che vediamo accadere in Europa, in quelle Chiese dove la pratica pastorale riguardo al divorzio, alle seconde nozze e alla ricezione dei sacramenti si è allontanata dall'autentico insegnamento cattolico. Ciò che consegue da un non veritiero insegnamento sulla pratica dei sacramenti non è una più zelante vita evangelica ma il suo collasso".

Questa è solo una piccola parte del saggio dell'arcivescovo di Philadelphia. A prolungamento della discussione sinodale. In attesa del pronunciamento di papa Francesco.

"Il Papa sta distruggendo la Chiesa"


Dagli insulti al mondo vescovile alle confidenze con Scalfari: Bergoglio è fuori controllo? Anatomia di una cattolica guerra civile. 

Domenica 1° novembre, il quotidiano italiano la Repubblica ha pubblicato un editoriale a firma di Eugenio Scalfari, uno dei più celebri giornalisti del Paese, in cui questi sosteneva che il Papa gli avrebbe confidato che «alla fine di percorsi più veloci o più lenti tutti i divorziati che lo chiedono saranno ammessi» al sacramento della comunione. L’opinione pubblica cattolica è rimasta di sasso: il Papa aveva appena terminato di presiedere un sinodo di tre settimane, in cui erano emerse ampie divergenze proprio attorno alla questione dell’ammissione o meno dei divorziati cattolici risposati alla comunione. Sinodo che, alla fine, aveva votato per un nulla di fatto. Lunedì scorso, il portavoce del Papa, padre Federico Lombardi, ha dichiarato che quanto riferito da Scalfari «non è in alcun modo affidabile» e «non può essere considerato il pensiero del Papa».

Abbastanza normale, potreste pensare: Scalfari ha 91 anni, e poi non è solito prendere note o usare registratori durante le sue interviste. Ovvio che egli non sia «affidabile». Ma ciò non ha soddisfatto i media, che hanno segnalato come il Papa sapesse benissimo a cosa stava andando incontro. In fondo questa era la quarta volta che aveva deciso di farsi intervistare da una persona che confida nella sua memoria da novantenne. Dopo il loro ultimo colloquio, Scalfari aveva attribuito al Papa l’affermazione per cui la pedofilia all’interno della Chiesa coinvolge il 2% dei preti, inclusi vescovi e cardinali. Il povero Lombardi aveva dovuto smentire tutto anche allora. La volta scorsa, i cattolici hanno concesso a Francesco il beneficio del dubbio. Stavolta, invece, molti di loro stanno dicendo: lasciando perdere Scalfari, come si può avere fiducia in ciò che dice il Papa? Sono passati due anni e mezzo dall’inizio del pontificato, ma è solo nell’ultimo mese che i semplici cattolici conservatori, e non i tradizionalisti più irriducibili, hanno cominciato a sostenere che papa Francesco è fuori controllo. Notare: «fuori controllo», non «sta perdendo il controllo», che sarebbe un problema meno grave. Nessun pontefice, infatti, a memoria d’uomo, ha mai lasciato spazio alla specifica paura che ora sta avvolgendo la Chiesa: che il magistero conferito a Pietro da Gesù non è sicuro nelle sue mani.

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Tutto questo è vero, ma su una cosa i giornalisti – e i milioni di fan laici del Papa – si sbagliano di grosso. Per il suo modo di comportarsi alla mano e per la sua preferenza per il modesto titolo di «vescovo di Roma», loro credono che papa Bergoglio rivesta la carica di Supremo Pontefice con molta leggerezza. Ma chiunque lavori in Vaticano vi dirà che non è così. È vero, Francesco esercita il potere con una sicurezza di sé pari a quella di Giovanni Paolo II, il papa polacco la cui guerra santa contro il comunismo si concluse con il crollo dell’Unione Sovietica, ma le similitudini tra i due finiscono qui. Giovanni Paolo II non ha mai nascosto la natura della sua missione. Egli era deciso a chiarire e a consolidare gli insegnamenti della Chiesa. Francesco, al contrario, mira a muoversi verso una Chiesa più compassionevole e meno attaccata alle regole, ma si rifiuta di dire fino a dove voglia arrivare. A volte egli assomiglia a un automobilista che guida alla massima velocità senza cartina e specchietto retrovisore. E quando l’auto si ferma, come nel caso del sinodo dello scorso ottobre, egli come Basil Fawlty comincia a colpire disperatamente il cofano della propria auto con un bastone (celebre scena comica di una nota sitcom britannica, ndt).

I non-cattolici sono apparsi molto più interessati agli “storici” pronunciamenti di  Francesco sul cambiamento climatico che non al sinodo, dominato dalla disputa circa il diritto dei divorziati cattolici risposati a ricevere la comunione. E ciò ha reso la situazione paradossale. L’enciclica del Papa Laudato si’ ha conferito una temporanea vitalità agli attivisti ambientali, mentre la conferenza sulla famiglia è stata storica, ma non nella maniera giusta. Durante il sinodo, i fedeli cattolici hanno cominciato a chiedersi se il Papa sia stato abbandonato dal proprio giudizio, oppure se sia sempre stata una persona ben diversa di quanto la sua spensierata immagine pubblica suggerisce.

Nei circoli della Chiesa le preoccupazioni sono cominciate a emergere nell’ottobre dello scorso anno, quando il Papa convocò un sinodo straordinario e preparatorio che fallì sotto i suoi occhi. A metà assemblea, gli organizzatori – nominati da Francesco – annunciarono il raggiungimento di un consenso sulla revoca del divieto di comunione e sulla volontà di riconoscere gli aspetti positivi delle relazioni tra gay. I media esultarono, prima di scoprire che erano tutte sciocchezze. I vescovi sinodali, inclusi i cardinali più anziani, non avevano affatto espresso il favore a queste aperture. Il cardinale George Pell, il conservatore australiano che ricopre il ruolo di «ministro dell’Economia» del Papa, perse le staffe – e quando Pell si arrabbia non passa inosservato. Il voto finale bocciò entrambe le proposte. Nonostante ciò, Francesco ha chiesto al sinodo di quest’anno di riesaminare la questione della comunione ai divorziati. Il primo sinodo non è stato soltanto sconfortante per il Papa, ma anche bizzarro. Perché Francesco permise ai suoi stretti collaboratori, il cardinale Lorenzo Baldisseri e l’arcivescovo Bruno Forte, di organizzare una conferenza stampa in cui, nella pratica, si dispensarono bugie?

Qualsiasi altro pontefice avrebbe spedito Baldisseri e Forte in una parrocchia in Antartide per aver mandato tutto a rotoli. Al contrario, nello stupore generale, il Papa li ha invitati a gestire il sinodo del mese scorso, e ha altresì invitato anche il cardinale Walter Kasper, un 82enne teologo tedesco ultra-liberale che intende spazzare via ogni impedimento alla comunione per i divorziati risposati. Insomma a farla breve, Francesco ha fatto capire di pensarla come Kasper, pur sapendo che la maggior parte dei vescovi del recente sinodo voleva mantenere il divieto alla comunione. Perché dunque il Papa ha insistito così tanto affinché i vescovi affrontassero questa tematica nella discussione, consapevole che questi non avrebbero mai votato come lui voleva?

I cardinali più anziani erano stupefatti – e infuriati – all’idea che il sinodo sulla crisi della famiglia in tutto il mondo sarebbe stato dominato dal bisticcio attorno a tale questione. Una settimana prima che questo cominciasse, 13 cardinali, guidati da Pell, hanno scritto una lettera al Papa chiedendogli di non permettere che ciò accadesse, e anche esprimendogli i propri sospetti sul fatto che il programma del sinodo fosse stato allestito proprio per dare la massima visibilità alle idee minoritarie di Kasper. Come prevedibile, il sinodo ha immediatamente cestinato il piano di Kasper, ma ha comunque lasciato aperta la possibilità di introdurre piccoli cambiamenti, ma questo solo perché un mese prima che il sinodo cominciasse Francesco ne ha alterato gli equilibri interni, invitando vescovi aggiuntivi che condividevano le sue idee liberali. E questo ci porta a sottolineare un fatto inquietante, che ha seriamente indebolito la fiducia verso Francesco: tra le persone invitate, infatti, vi era anche il molto liberal cardinale belga Godfried Danneels, che cinque anni fa si ritirò in maniera disonorevole dopo essere stato registrato mentre chiedeva a un uomo di tacere sugli abusi subiti da un vescovo prima che quest’ultimo andasse in pensione. Il vescovo era lo zio della vittima. In altre parole, Danneels tentò di coprire abusi sessuali che avevano avuto luogo all’interno di una famiglia. Papa Francesco ne era al corrente, ma ha comunque deciso di dargli un posto d’onore al sinodo dedicato alla famiglia. Ma perché, per amor di Dio? «Per ringraziarlo dei voti nel conclave» sibilano i conservatori – una calunnia, forse, ma di certo non aiuta il fatto che Danneels vada in giro a vantarsi di aver permesso l’elezione di Bergoglio.

Il sinodo si è concluso in maniera confusa, con un documento che ammette o non ammette la revoca del divieto alla comunione in circostanze speciali. Entrambe le parti si sono attribuite la vittoria – e il Papa, dicono gli osservatori, ha perso le staffe. Nel discorso conclusivo, Francesco si è duramente scagliato contro i «cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa» e contro la «chiusura di prospettive», aggiungendo che «i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito». L’allusione era chiara: i chierici che avevano difeso incondizionatamente il divieto di comunione rappresentavano i Farisei del Gesù di Francesco. Il Papa stava inviando insulti cifrati verso almeno metà di tutto il mondo vescovile – e, a quanto pare, stava anche dando ai preti il permesso di contestare le istruzioni circa la comunione e il divorzio. Un prete vicino al Vaticano è rimasto scioccato, ma non sorpreso. «State vedendo il vero Francesco», ha detto.

«È un brontolone, non riesce a nascondere il suo disprezzo verso la propria Curia. A differenza di Benedetto questo signore premia i suoi compagni e punisce i suoi nemici». Normalmente gli uomini di Chiesa non si riferiscono al Santo Padre con l’espressione «questo signore», anche se non gradiscono la sua teologia, ma in realtà oggi questa è una delle descrizioni di Francesco più gentili; le altre non possono essere pubblicate in una rivista destinata alle famiglie.

La Chiesa cattolica non è mai sembrata così vicina alla Comunione anglicana, che andò in mille pezzi quando i credenti ortodossi, specialmente in Africa, credettero che i propri vescovi avessero abbandonato gli insegnamenti di Gesù. Nel caso del cattolicesimo, però, la crisi strisciante si colloca in una scala molto più grande. Per milioni di cattolici, la forza più importante della Chiesa è certamente la sua coerenza e la sua immutabilità. Si aspettano che il vicario di Cristo sulla terra preservi la stabilità. Se i papi precedenti sono apparsi come delle figure elevate e distanti, questo è perché essi avevano bisogno proprio di questo, per evitare che potesse emergere uno scisma all’interno di una Chiesa che ha radici in tante culture diverse.

Oggi invece il successore di Pietro si sta comportando come un politico, litigando con i propri avversari, ammiccando al pubblico con citazioni, e telefonando ai giornalisti per rilasciare dichiarazioni sorprendenti che il suo ufficio stampa può tranquillamente smentire. Egli sta facendo capire di non trovarsi d’accordo con gli insegnamenti della sua stessa Chiesa. Ma un Papa non può comportarsi in questo modo senza cambiare la natura stessa della Chiesa. Forse è ciò che Francesco intende fare, ma questo lo si può solo immaginare, visto che egli deve ancora articolare un programma coerente di cambiamento, né è chiaro se sia intellettualmente attrezzato per metterlo in pratica. I cattolici fedeli credono che l’ufficio di Pietro sopravviverà a prescindere da chi lo detiene. Gesù l’ha promesso. Ma dopo il caos dell’ultimo mese, la loro fede è messa alla prova fino al punto di rottura. Bergoglio sembra rivelarsi l’uomo che ha ereditato il papato e l’ha distrutto.

(traduzione di Ermes Antonucci)

sabato 14 novembre 2015

Le profezie di Mons. Fulton: “la crisi della Chiesa, il falso profeta e l'Anticristo"


Il vescovo statunitense Fulton Sheen è ricordato, oltre che come teologo grave e profondo, anche come eccellente comunicatore attraverso la radio, la stampa e la Tv. Tenne conferenze, molto seguite, sia in patria che all’estero, nelle quali appassionava e conquistava l'uditorio. Nel 1930, alla NBC, teneva un programma fisso la domenica sera:  L’ora cattolica. Un'attività fruttuosa di conversioni. Fu nominato vescovo da Pio XII e mandato come Ausiliare a New York, ma continuò nella sua attività di conferenziere e scrittore. Ricordiamo: La pace dell’anima, La felicità del cuore, Il primo amore del mondo (sulla Vergine), La filosofia della religione, in cui dimostra come nel nostro tempo la filosofia abbia raggiunto il livello più basso di irrazionalismo con cui guarda con disprezzo assoluto a Dio e alle Verità eterne e indica il cammino della sana ragione, illuminata dalla fede, orientata al Padre, in Cristo, unica Via Verità e Vita.

Premessa-. L'Arcivescovo Fulton Sheen disse nel 1950: «Stiamo vivendo nei giorni dell'apocalisse gli ultimi giorni della nostra epoca .... Le due grandi forze il Corpo mistico di Cristo e del Corpo Mistico dell'anticristo stanno cominciando a elaborare le linee di battaglia per la fine». (Flynn T & L. Il Tuono di giustizia. Maxkol Communications, Sterling, VA, 1993 p. 20) Disse anche: «Il Falso Profeta avrà una religione senza croce. Una religione senza un mondo a venire. Una religione per distruggere le religioni. Ci sarà una chiesa contraffatta. La Chiesa di Cristo [la Chiesa cattolica] sarà una. E il falso profeta ne creerà un'altra. La falsa chiesa sarà mondana, ecumenica e globale. Sarà una federazione di chiese. E le religioni formeranno un certo tipo di associazione globale. Un parlamento mondiale delle chiese. Sarà svuotato di ogni contenuto divino e sarà il corpo mistico dell'Anticristo. Il corpo mistico sulla terra oggi avrà il suo Giuda Iscariota, e sarà il falso profeta. Satana lo assumerà tra i nostri vescovi».

Mons. Fulton Sheen sull'anticristo-. L'Anticristo non si chiamerà così; altrimenti non avrebbe seguaci. Egli non indosserà calze rosse, né vomiterà zolfo, né porterà un tridente né una coda come Mefistofele nel Faust. Questo per aiutare il Diavolo a convincere gli uomini che egli non esiste. Quando l'uomo lo nega, più diventa potente. Dio ha definito Sé stesso come "Io sono colui che sono", e il Diavolo come "Io sono colui che non sono." Da nessuna parte nella Sacra Scrittura troviamo descritto il Diavolo come un buffone. Piuttosto è descritto come un angelo caduto dal cielo, come "il principe di questo mondo", il cui scopo è convincerci che non c'è la vita eterna. La sua logica è semplice: se non c'è il paradiso non c'è inferno; se non c'è l'inferno, allora non c'è peccato; se non c'è peccato, allora non c'è nessun giudice, e se non c'è giudizio, allora il male è bene e il bene è il male. Ma come farà a convincerci alla sua religione? La convinzione russa pre-comunista, è che egli verrà travestito come il Grande umanitario; parlerà di pace, prosperità e abbondanza non come mezzo per condurci a Dio, ma come fini in sé...

(…) La terza tentazione in cui Satana chiese a Cristo di adorarlo e tutti i regni del mondo sarebbero stati suoi, diventerà la tentazione di avere una nuova religione, senza una croce, una liturgia, senza un mondo a venire, una religione per distruggere una religione, o una politica che è una religione - quella che rende a Cesare anche le cose che sono di Dio. In mezzo a tutto il suo amore per l'umanità e apparente suo discorso di libertà e di uguaglianza, si avrà un grande segreto che egli non dirà a nessuno: egli non crede in Dio. Perché la sua religione sarà la fratellanza senza la paternità di Dio, egli vuole ingannare anche gli eletti. Egli ha istituito una contro chiesa che sarà la scimmia della Chiesa, perché lui, il Diavolo, è la scimmia di Dio. Avrà tutte le note e le caratteristiche della Chiesa, ma in senso inverso e svuotata del suo contenuto divino. Sarà un corpo mistico dell'Anticristo che in tutte le cose esteriori somiglierà al corpo mistico di Cristo… (…) Ma il XX secolo si unirà alla contro chiesa perché sostiene di essere infallibile quando il suo capo visibile parla ex cathedra da Mosca sul tema dell'economia e della politica, e come capo pastore del comunismo mondiale'. (Arcivescovo Fulton J. Sheen, Communism and the Conscience of the West [Bobbs-Merril Company, Indianapolis, 1948], pp. 24-25).

venerdì 13 novembre 2015

Così Bergoglio manipola anche don Camillo (ma lui è un prete cattolico, non è come don Francesco-Chichì)

Non c’è da stupirsi che Bergoglio, a Firenze, abbia manipolato e strumentalizzato anche il don Camillo di Guareschi, dal momento che lo fa pure col Vangelo, facendogli dire l’opposto di quello che c’è scritto (per esempio su Gesù, i farisei e i temi morali).

Ma è comico che Bergoglio, per intimare alla Chiesa italiana di stare alla larga dalla politica (cioè per intimarle di inchinarsi al Potere e non disturbare il manovratore), indichi come esempio don Camillo che faceva l’esatto opposto.

Don Camillo infatti è il simbolo di quelle migliaia di coraggiosi preti italiani che, anche rischiando la vita, prima e dopo il 1948, insieme a Pio XII, nella battaglia epocale contro il comunismo del dopoguerra, hanno letteralmente salvato l’Italia, guidando la propria gente fin dentro la cabina elettorale, per consegnare il Paese alla libertà e all’Occidente. Salvando la cristianità e scongiurando l’arrivo al potere del Pci di Togliatti e di Stalin.

MANIPOLAZIONE

Del resto il modo in cui Bergoglio cita don Camillo è del tutto equivoco: ne fa quasi un cattocomunista.

Ecco le sue testuali parole: “pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente”.

Da queste parole sembra che don Camillo sia stato un timido assistente spirituale della cellula del Partito comunista guidata da Peppone e pare quasi che abbia accompagnato con la preghiera l’indottrinamento comunista del popolo. E’ un grottesco stravolgimento dei personaggi guareschiani.

Don Camillo – come la Chiesa di Pio XII – aveva chiaro che l’impero comunista che, dopo il 1945, si era divorato mezza Europa fino a Trieste, e minacciava direttamente l’Italia, era la più potente e sanguinaria incarnazione anticristica che la Chiesa avesse conosciuto in duemila anni.

Per questo è ridicolo dire che don Camillo “fa coppia” con Peppone: erano piuttosto come due pugili che se le davano di santa ragione, perché don Camillo – lungi dal limitarsi alla sola preghiera – combatteva palmo a palmo contro la devastante propaganda comunista, fino a tentare di strappare al Partito (e riportare alla Chiesa) lo stesso Peppone e i suoi familiari.

In effetti ci vorrebbero davvero, anche adesso, dei nuovi don Camillo che, con la sua stessa energia, difendessero il popolo dalle nuove (disumane) ideologie di oggi, figlie di quelle di ieri.

AUTOGOL BERGOGLIANO

Torniamo a Bergoglio. Dopo quella frase equivoca, ha indicato ad esempio ciò che don Camillo dice di sé: “sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie e sa ridere con loro”.

Ottima citazione. Purché si aggiunga che è l’esatto contrario di quello che fa Bergoglio, il quale disprezza i cristiani, specie i più eroici, arrivando perfino a rifiutarsi di ricevere in udienza privata i poverissimi familiari di Asia Bibi (la madre cristiana condannata a morte in Pakistan per la sua fede: per lei Bergoglio non ha mai voluto spendere nemmeno una parola).

Mentre lo stesso Bergoglio – nel signorile residence in cui vive – continua a ricevere amabilmente e a conversare con il ricco e potente mangiapreti Scalfari, al quale confida idee fuori dalla tradizione cattolica. E quello – felice – ricambia facendogli monumenti su “Repubblica”.

Anche il Bergoglio che – tutto soddisfatto – si porta in Vaticano il regalo terribile di Morales, con Gesù Cristo sulla falce e martello, avrebbe fatto inorridire don Camillo.

Sia chiaro, don Camillo conosceva bene la miseria che induceva tanta povera gente a credere all’illusorio paradiso promesso dal comunismo e comprendeva la loro ansia di riscatto sociale (infatti al pretino progressista che esalta la povertà ribatte: “la povertà è una disgrazia, non un merito”), ma combatteva il comunismo perché sapeva che era la più terribile truffa ai danni dei poveri. E predicava la regalità sociale di Cristo come l’unico ideale su cui costruire un mondo più giusto.

IL COMUNISMO

L’Introduzione a “Il compagno don Camillo” (dove si narra come il prete della Bassa vada in incognito in Urss e combini sfracelli), è scritta nel 1963, fra i fasti del miracolo economico e i “nefasti” della “letteratura social-sessuale di sinistra”, come la chiama Guareschi che mette in guardia – in quell’introduzione – proprio da chi, in Italia, tresca coi comunisti: “si cerca di combinare un orrendo pastrocchio di diavolo e d’Acquasanta, mentre una folta schiera di giovani preti di sinistra (che non somigliano certo a don Camillo) si preparano a benedire, nel nome di Cristo, le rosse bandiere dell’Anticristo”.

Guareschi dedica quel libro: “ai soldati americani morti in Corea (nella guerra contro i comunisti, ndr), agli ultimi eroici difensori dell’Occidente assediato (…). E lo dedico ai soldati italiani morti combattendo in Russia e ai sessantatremila che, caduti prigionieri nelle mani dei russi, sono scomparsi negli orrendi Lager sovietici e di essi ancora s’ignora la sorte. Ad essi è dedicato, in particolare, il capitolo decimo intitolato: ‘Tre fili di frumento’. Questo mio racconto” aggiunge Guareschi “è dedicato anche ai trecento preti emiliani assassinati dai comunisti nei giorni sanguinosi della ‘liberazione’, e al defunto Papa Pio XII che fulminò la Scomunica contro il comunismo e i suoi complici. È dedicato altresì al Primate d’Ungheria, l’indomito Cardinale Mindszenty e all’eroica Chiesa Martire. A Essi è particolarmente dedicato il capitolo ottavo intitolato: ‘Agente segreto di Cristo’ ”.

Siamo agli antipodi del bergoglismo. Anche dal punto di vista umano, don Camillo è l’opposto esatto di Bergoglio.

Da una parte c’è il prete italiano formato sul Catechismo di san Pio X che, in nome di Cristo, con audacia e generosa umanità, si oppone dal pulpito e in piazza al grande inganno del comunismo che ha strappato Dio dal cuore del popolo, sostituendolo con un’ideologia disumana.

Dall’altra c’è il gesuita furbo che in Sudamerica vive tranquillo sotto i colonnelli e poi, passata quella stagione, civetta con la Teologia della liberazione (versione argentina) e a Roma col mondo scalfariano annacquando il Vangelo e svendendo i “principi non negoziabili” per compiacere i nemici della Chiesa.

DON CHICHI’

Guareschi era furibondo con i guasti del postconcilio e nell’ultimo libro – “Don Camillo e i giovani d’oggi” – racconta lo scontro di don Camillo con i preti progressisti come don Chichì, il cui nome – guarda caso – era proprio “Francesco”.

Ecco la descrizione di Guareschi: “Il pretino progressista inviato dalla Curia a rimettere in carreggiata don Camillo, si chiamava don Francesco ma, per quella sua personcina asciutta e nervosa, per quel suo clergyman attillatino, per quel suo continuo agitarsi e scodinzolare, era stato ribattezzato dalla gente don Chichi. Un nomignolo che non significa niente di preciso, ma rende perfettamente l’idea. Don Chichì, demistificata esteriormente la chiesa, aveva sferrato la sua offensiva in profondità, con una serie di prediche che erano una continua, ardente denuncia della malvagità e delle colpe dei ricchi. Parecchia gente disertò la Messa”.

Guareschi vedeva lontano. Infatti i disastri del postconciclio allontanarono tanta gente dalla Chiesa anche in Italia, ma soprattutto in Sudamerica dove i preti alla don Chichì e alla Bergoglio presero il sopravvento.

Lì, parlando più da (cattivi) sindacalisti che da sacerdoti di Cristo, da decenni hanno perso il popolo, con una drammatica emorragia di fedeli verso le sette o altre confessioni.

Forte di questo fallimento pastorale oggi Bergoglio ritiene di dare lezioni a una Chiesa come quella italiana che invece – grazie a Giovanni Paolo II e a Ratzinger – ha tenuto ed è tuttora una Chiesa di popolo. E’ il famoso adagio: chi sa fa, chi non sa insegna. Bergoglio, avendo già fallito in Argentina, vuole imporre a tutta la Chiesa la sua ricetta. Per arrivare al naufragio.

 Antonio Socci

Post scriptum: DITEMI SE QUESTO DON CHICHI NON è PROPRIO BERGOGLIO. ECCO UN BRANO CHIARISSIMO DI GUARESCHI:

Il pretino progressista, don Chichì, sentenzia rivolgendosi al rude parroco della Bassa: “Don Camillo, la Chiesa è una grande nave che, da secoli, era alla fonda. Ora bisogna salpare le ancore e riprendere il mare! E bisogna rinnovare l’equipaggio: liberarsi senza pietà dei cattivi marinai e puntare la prua verso l’altra sponda. E’ là che la nave troverà le nuove forze per ringiovanire l’equipaggio. Questa è l’ora del dialogo, reverendo!”

Ma don Camillo risponde: “Litigare è l’unico dialogo possibile coi comunisti. Dopo vent’anni di litigi, qui siamo ancora tutti vivi: non vedo migliore coesistenza di questa. I comunisti mi portano i loro figli da battezzare e si sposano davanti all’altare mentre io concedo ad essi, come a tutti gli altri, il solo diritto di obbedire alle leggi di Dio. La mia chiesa non è la grande nave che dice lei, ma una povera piccola barca: però ha sempre navigato dall’una all’altra sponda. (…) Lei allontana molti uomini del vecchio equipaggio per imbarcarne di nuovi sull’altra sponda: badi che non le succeda di perdere i vecchi senza trovare i nuovi. Ricorda la storia di quei fraticelli che fecero pipì sulle mele piccole e brutte perché erano sicuri che ne sarebbero arrivate di grosse e bellissime poi queste non arrivarono e i poveretti dovettero mangiare le piccole e brutte?”


Da “Libero”, 12 novembre 2015

giovedì 12 novembre 2015

Lo smantellamento dell’istituto matrimoniale: dimensione storica e analisi giuridica del fenomeno.

Il recente sinodo dei Vescovi sulla famiglia ha lasciato più di qualche interrogativo tra i tanti cattolici che oggi si affannano di capire dove sta andando la barca della Chiesa in tempesta. La Relazione finale, pur ribadendo (almeno) formalmente la dottrina cattolica sull’indissolubilità del matrimonio, lascia irrisolta, in puro stile “conciliare”, più di qualche questione ed in particolar modo sulla possibilità per i divorziati risposati di accedere al santissimo sacramento dell’Eucarestia, in base all’ambiguo criterio del “discernimento”[1]. Se anche gli Apostoli ebbero paura di affondare nel mezzo del mare in tempesta – “Magister, non ad te pertinet, quia perimus?[2]”– noi dobbiamo restare ancorati alle promesse divine lasciateci da Nostro Signore Gesù Cristo sulla indistruttibilità della sua Chiesa fondata su san Pietro[3]. Questa certezza tuttavia non può esimerci dall’affrontare talune considerazioni di ordine storico e giuridico sullo stato attuale dell’istituto matrimoniale, attaccato a più riprese anche dal legislatore italiano.

In epoca romana il matrimonium, quale unione stabile tra persone di sesso diverso, conservò nel corso dei secoli sostanzialmente i propri caratteri. Esso era caratterizzato dal reciproco consenso espresso dai coniugi, che doveva essere durevole, continuativo e ininterrotto[4]. Nelle epoche più tarde non si registrarono particolari novità, tanto è vero che in epoca post-classica il matrimonium era considerato ancora come un rapporto, fondato su di un accordo iniziale di volontà[5]. Bisogna tuttavia evidenziare che per i romani il concetto del sacro, seppur legato a un’idea del sovrannaturale, aveva tutto sommato una dimensione naturalistica e poco incline al trascendente. Le conseguenze di tale visione sono evidenti: nonostante la indubbia valenza pubblicistica il matrimonium non era considerato come un dato immutabile per la società romana. In particolare, il divortium, sebbene appannaggio delle famiglie più aristocratiche, era in ogni caso un dato acquisito anche negli strati più bassi della società, sebbene con qualche diversità a seconda del periodo storico di riferimento.

Accanto al matrimonium istum l’ordinamento conosceva anche il concubinatus, ossia la convivenza manifesta e continuata di due persone di sesso diverso, priva tuttavia dell’affectio coniugalis, che poteva dare vita anche a forme di convivenza more uxorio tutelate.

Le (in)certezze del mondo pagano sono stato vinte da Nostro Signore Gesù Cristo – “Ego sum via, veritas et vitam; nemo venit ad Patrem, nisi per me[6]”– il quale ha costituito la propria potestas non soltanto sugli aspetti spirituali ma anche sugli affari materiali e sociali[7]. La Civitas Christiana quindi deve orientare le proprie leggi in funzione della Regalità Sociale di Cristo, solennemente ribadita da Pio XI nella Quas primas nel dicembre 1925. Non è un caso infatti che le variegate eresie protestanti abbiano sostanzialmente scardinato tale prospettiva, separando lo Stato dalla chiesa, secondo l’idea che le Istituzioni civili debbano disinteressarsi degli affari religiosi, relegati al foro interno del fedele.

La Chiesa cattolica nel confermare i fratelli nella Fede[8] ha sempre insegnato infallibilmente il valore Sacramentale del matrimonio cristiano. Significa quindi che, a differenza del mondo pagano, esso rappresenta un istituto dal valore soprannaturale e sacramentale. A tal proposito il Codex Iuris Canonici del 1917 (c.d. Codice Pio-Benedettino) ha mirabilmente definito la struttura e le caratteristiche fondamentali del Matrimonio cattolico.

Il can. 1012 pone Christus Dominus come elemento fondante del vincolo matrimoniale, mentre il successivo can. 1013 evidenzia che il fine primario, ancorché non esclusivo, del matrimonio è rappresentato dalla procreazione e dall’educazione della prole, mentre gli aspetti, per così dire, di mutuo sostegno tra gli sposi assumono una dimensione ancillare.

Una volta espresso il reciproco consenso nell’atto matrimoniale il rapporto diviene indissolubile, perché si fonda su Gesù Cristo e sulla sua Chiesa. Tuttavia è possibile che sia l’atto ad essere affetto da nullità in presenza di alcuni presupposti.

Non ci soffermeremo sulle nullità matrimoniali e lasceremo la trattazione ai canonisti; ciò che più ci preme in questa sede è di evidenziare come la recente riforma sul processo canonico voluta da Bergoglio sembri seguire di pari passo l’altrettanto recente riforma civile del c.d. divorzio breve approvato nel 2015. Il cerchio peraltro si chiude dando uno sguardo alla già citata Relazione finale del sinodo dei Vescovi sulla famiglia del 24 ottobre 2015. Ma procediamo con ordine.

In realtà già il Codice di diritto canonico approvato da Wojtyła nel 1983 sembra aver codificato un concetto di matrimonio forse non proprio in linea con il precedente codice. Il can. 1055 pone oggi il vir e la mulier al centro del patto matrimoniale mentre Cristo è posto, diversamente dal precedente can. 1012, in posizione subordinata, ancorché venga ribadito il valore sacramentale dell’istituto matrimoniale. Inoltre non passerà inosservato neanche ai meno esperti di diritto che il concetto patto evoca una dimensione contrattualistica che implica, di per sé, la possibilità che possa essere sciolto (non importa come). Ancora, il fine assistenziale tra i coniugi è posto in posizione principale rispetto alla procreazione e all’educazione della prole. In sintesi, si può prudentemente affermare che già il diritto canonico del 1983 aveva (forse) aperto la strada a un mutamento del concetto di matrimonio.

In ambito civile la l. 898 del 1970, passata tristemente alla storia come “legge sul divorzio”, ha segnato una profonda ferita all’interno della società italiana. Se in epoche passate i tentativi di inserire nella legislazione civile il divorzio naufragarono miseramente per le resistenze della Chiesa o perché furono di fatto boicottati dalla popolazione (ancora) fortemente cristianizzata – si pensi alla (forse) poco nota questione del divorzio nel Regno di Napoli dal 1809 al 1815, raccontata da Benedetto Croce[9] – nell’Italia democratica degli anni Settanta le forze anticattoliche sedute in Parlamento ebbero vita facile. In realtà non ci si deve meravigliare di come la legge sul divorzio abbia potuto fare breccia nella società italiana: lo Stato moderno, prima liberale, poi fascista, ed oggi costituzionale, ha sempre ripudiato la Regalità Sociale di Cristo e ha sempre combattuto per una netta separazione tra diritto e morale, propugnata a suo tempo da Immanuel Kant[10]. Nonostante l’art. 29 Cost. infatti riconosca la famiglia come una società naturale fondata sul matrimonio, non precisa in che termini debba essere considerata e su quali principi si fondi, secondo una visione meramente naturalistica e priva di riferimenti alla dimensione sacramentale.

Una volta aperta la strada al divorzio la famiglia cristiana ha continuato a subire numerosi attacchi da parte di un legislatore sempre più laicista: basti citare ex pluribus la l. 194 del 1978 sulla c.d. interruzione volontaria di gravidanza o la l. 164 del 1982 sulla rettifica dell’attribuzione del sesso. Si tratta di interventi normativi che hanno segnato un punto di rottura impressionante rispetto al passato cristiano: l’uomo diviene fine ultimo dell’ordinamento e si sostituisce alla divinità secondo una prospettiva liberal-massonica. A tali interventi legislativi si è affiancata (come se non bastasse) anche la giurisprudenza che, in un’opera di lenta (ma progressiva) rottura dei tradizionali principi, ha attribuito oggi rilevanza giuridica alla convivenza more uxorio e ha aperto la strada al riconoscimento del matrimonio (o unione) omosessuale[11].  

In questo quadro ordinamentale già così devastato il legislatore ha pensato bene (dovremmo dire male) di dare un ulteriore terribile colpo all’istituto matrimoniale attraverso la recente riforma del divorzio breve. Precisiamo: non si vuole sostenere che possa esistere un divorzio “buono” e un divorzio “cattivo” secondo la logica democristiana del “male minore”, anzi! Si vuole semplicemente descrivere lo stato attuale del nostro ordinamento e sottolineare come il male risiede proprio nella possibilità che si possa divorziare. Peraltro appare doveroso sottolineare come questa riforma, nonostante qualche breve battuta di arresto durante l’iter legislativo, è stata votata dal Parlamento in maniera trasversale, evidenziando (se ce ne fosse ancora bisogno)  l’inesistenza di una qualsivoglia forma di “resistenza” cattolica nelle aule parlamentari.

La ratio della riforma è chiara: si vuole incentivare la risoluzione consensuale del rapporto matrimoniale abbreviando notevolmente i termini per la dichiarazione di divorzio in caso di comune accordo. Il parallelo con il divortium è facilmente intuibile: sono i coniugi a stabilire come disporre del proprio rapporto, così come poteva accadere nella società romana. Inoltre oggi è anche possibile che sia l’avvocato o l’ufficiale di stato civile a poter sovrintendere alla procedura divorzile. In altri termini, l’istituto matrimoniale sembra quasi smarrire la propria dimensione pubblicistica per diventare una faccenda tutta privata tra i coniugi. Sembra quasi che l’ordinamento abbia preso spunto dalla tesi di Bertrand Russel sul “matrimonio di prova” quale “forma di convivenza a favore dei giovani non ancora pronti ad assumersi le responsabilità derivanti dall’impegno matrimoniale[12]”.

Poco dopo queste riforme civili Bergoglio è intervenuto con incredibile sincronia, procedendo a una sostanziale riforma del processo canonico di nullità matrimoniale. Le due lettere firmate l’8 settembre 2015 in forma di Motu proprio, la Mitis iudex Dominus Iesus[13] e la Mitis et misericors Iesus[14], sono intervenute rispettivamente sulle procedure previste dal Codice di diritto canonico per la Chiesa latina e per le Chiese orientali, innovando dopo quasi trecento anni la disciplina previgente. Tra gli aspetti che più interessano ai fini del nostro discorso occorre segnalare l’abolizione del principio della doppia sentenza conforme e l’istituzione di un rito speciale molto più celere (processus brevior) quando la causa è proposta congiuntamente da entrambe le parti e la prove della nullità sono evidenti. Si tratta di interventi volti ad accelerare la dichiarazione di nullità e in cui il parallelo con la ratio della legge sul divorzio breve testé esplicata è inquietante. Il cerchio si è chiuso con la Relazione finale del Sinodo dell’ottobre 2015: il “fallimento” del matrimonio civile non deve precludere alla partecipazione dei divorziati “risposati” alla vita della Chiesa (non si comprende pienamente come). In realtà è necessario spiegare che la Chiesa non esclude nessuno; semmai siamo noi stessi che con il nostro comportamento ci poniamo ipso facto fuori di Essa. La vera misericordia è quella che si compiace della Verità e la Verità riposa in Gesù Cristo Nostro Signore.

All’esito di questa analisi storico-giuridica è possibile trarre alcune importanti considerazioni: il matrimonio civile ormai non ha più alcun valore meta-giuridico, nonostante l’art. 29 Cost., e si pone come mero rapporto personale tra i coniugi in un’ottica meramente naturalistica, corroso dal cancro del divorzio e subdolamente imitato dalla convivenza more uxorio. Sulla stessa scia il matrimonio cattolico ha subito il fascino del legislatore civile, che spinge affinché il vincolo possa essere sciolto nel minor tempo possibile e con il minor “fastidio” per le parti interessate. Il Codice di diritto canonico del 1983 e le recenti riforme di Bergoglio sul processo canonico di nullità matrimoniale sembrano aver inciso anche sulla stessa dimensione sovrannaturale e trascendente del matrimonio. Siamo di fronte al ritorno ad un passato precristiano pagano (con le dovute differenze) o forse ci stiamo muovendo verso una società sempre più post-cristiana. Come abbiamo detto all’inizio, non dobbiamo aver paura perché la barca in tempesta non affonderà: Nostro Signore Gesù Cristo ci ha promesso la vittoria sulle forze infernali e la Santissima Vergine a Fatima ha gridato a gran voce che alla fine il Suo Cuore Immacolato trionferà. Per adesso a noi tocca pregare e portare avanti la giusta battaglia.





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[1] cfr. pt. 84 ss., Relazione Finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco, 24 ottobre 2015, consultabile su https://press.vatican.va/content/salastampa/en/bollettino/pubblico/2015/10/24/0816/01825.html
[2] (Mc, 4, 38).
[3] (Mt, 16, 18).
[4] Cfr. Guarino A., “Diritto privato romano (in corsivo), Napoli, 2001”, p. 558.
[5] Cfr. Guarino A., ibidem, p. 559.
[6] (Gv, 14, 6).
[7] (Gv, 18, 37-38).
[8] (Mt, 26, 31).
[9] Cfr. Croce B., Il divorzio nelle province napoletane 1809-1815, apparso sulla rivista ‘La Scuola Positiva’. Anno I.,n.11-12, Napoli, 1891, pp.1-17. Benedetto Croce riferisce inoltre che i due furono duramente osteggiati e isolati dalla società dell’epoca.
[10] Cfr. Kant I.,  Die Metaphysik der Sitten (1798).
[11] Corte Cost., sent. n. 138 del 2010.
[12] Russel B., Marriage and Moral, London, 1929.
[13] V. https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/09/08/0652/01418.html
[14] V. https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/09/08/0653/01419.html
  diritto, famiglia, Marco Martone, matrimonio

di Marco Martone

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