Castigat ridendo mores
S. Agostino nel suo Commento alla prima Epistola di San Giovanni (steso mentre predicava ai suoi fedeli d’Ippona nella settimana santa del 413), con il suo spirito finemente ironico (“castigat ridendo mores”/scherzando e ridendo dice la verità), fa alcuni paragoni che non possono lasciarci indifferenti poiché
- 1°) se da una parte sono scherzosi, divertenti e ameni,
- 2°) dall’atra sono anche seri, profondi e severi.
Infatti la giustizia e la misericordia, la gioia e la severità non si escludono ma si completano e si armonizzano come dice la S. Scrittura: “Justitia et Pax osculatae sunt”.
I porci e gli uomini
La prima perla agostiniana riguarda una considerazione che il Santo d’Ippona fa sul passaggio del Vangelo secondo Giovanni in cui Gesù permette che i demoni entrino in un’intera mandria di porci, che vanno a gettarsi in un dirupo e a morire con grave danno del loro proprietario. I diavoli chiedono al Redentore, che li aveva scacciati da un poveruomo posseduto da essi, di poter entrare nel corpo dei porci. I diavoli sono esauditi. Spesso i giusti che pregano, nota S. Agostino, non lo sono, invece i diavoli lo furono. Tuttavia non bisogna fermarsi alle apparenze. Infatti la volontà dei demoni si realizza per il loro castigo, mentre se il giusto non è esaudito è per il bene della sua anima. S. Paolo pregò tre volte Gesù di liberarlo dalla sua infermità, ma non fu esaudito “poiché la virtù si rafforza nelle infermità e nelle miserie”. Quindi non sempre il non essere esauditi è segno di non essere amati.
S. Agostino si chiede perché Gesù abbia fatto ciò e risponde che ciò avvenne al fine di dimostrarci che “il diavolo domina su quanti conducono una vita simile a quella dei porci”. Attenzione quindi a noi. Non viviamo come i porci i quali sono gli unici animali che non possono alzare la testa in cielo, guardano sempre in basso e si voltolano nella melma, ossia cerchiamo di vivere per andare in Paradiso, non lasciamoci ammaliare dalle cose di questo mondo e avvolgere dal vizio durante il corso della nostra vita. Infatti “si raccoglie quel che si miete” (S. Agostino, Meditazione sulla Lettera dell’amore di San Giovanni, Roma, Città Nuova, 1980, pp. 158-159).
Castighi e dolcezze apparenti e reali
In secondo luogo il Vescovo d’Ippona ci ammonisce di non essere falsamente misericordiosi ma piuttosto realmente giusti.
“La carità non è avvilente, noiosa, remissiva, debole e molle” (cit., p. 187).
Ed ecco un altro simpatico esempio agostiniano che non può non suscitare la nostra ilarità. Il mercante che vuol vendere o mangiare i polli, li ingrassa, dà loro da mangiare abbondantemente, ma non lo fa per amore, anzi per interesse e per un interesse abbastanza venale, godereccio e assassino. “Il mercante per vendere, blandisce ma è duro nel cuore: il padre per correggere il figlio che si comporta male lo castiga, ma è senza fiele. Non credere di amare il tuo servo fannullone per il fatto che non lo percuoti, oppure che ami tuo figlio per il fatto che non lo castighi: questa non è carità, è mollezza.
Ecco perché la carità è simboleggiata dalla colomba. Infatti la colomba non ha il fiele mentre il corvo sì, tuttavia in difesa del suo nido combatte col becco e cogli artigli, colpisce ma senza amarezza. Chi è che non corregge il proprio figlio? Chi è quel padre che non dà mai castighi? E tuttavia sembra apparentemente infierire. L’amore vero infierisce, il falso blandisce (come il mercante che ingrassa i suoi polli per ucciderli quando sono molto grassi). La carità, in un certo qual modo, infierisce ma senza veleno, al modo delle colombe ossia senza fiele come invece fanno i corvi” (cit., p. 187-188).
La sposa fedele e l’adultera
“Per spiegare la differenza tra il timor servile e quello filiale – esclama S. Agostino – facciamo l’esempio di due donne sposate, di cui una è intenzionata a commettere adulterio, ma ha timore che il marito la castighi. Ella teme il marito, ma lo teme poiché ama ciò che è cattivo: l’adulterio. La presenza del marito le è sgradita, teme solo il suo ritorno. Coloro che hanno solo il timor servile sono simili a questa prima sposa e temono la presenza e il giudizio di Cristo.
Invece la seconda sposa ama il suo sposo, non lo vuol tradire, cerca la sua presenza, teme solo di perderlo. Ella teme che lo sposo si allontani da lei o che lei si allontani da lui. La prima teme di essere castigata, la seconda di essere abbandonata. Come ci dispiace il comportamento della prima sposa, così dovremmo non avere solo il timor servile del castigo da parte di Dio. La carità perfetta scaccia il solo timore come elemento principale del rapporto con Dio. Il timore servile è l’inizio della sapienza, ma non è la perfezione, che consiste soprattutto nell’amore o timore filiale di Dio senza escludere totalmente il conseguente timore dei castighi” (cit., pp. 223-225).
L’amore è una “cura di bellezza”
“Dio ci ha amati per primo quando eravamo suoi nemici ed eravamo in peccato e quindi brutti spiritualmente. Amandolo diventiamo belli spiritualmente acquistando la grazia santificante” (cit., pp. 226-227).
Ora S. Agostino fa un altro esempio – il più divertente e scherzoso – per farci capire come possiamo diventare belli (spiritualmente) a partire dal confronto con una donna molto brutta (fisicamente), che ama un uomo bello (o viceversa).
L’Ipponate scrive: “Che fa un uomo brutto e deforme quando vede una bella donna (o viceversa)? Potrà forse l’uomo (o la donna) diventar bello amando una donna bella? Il brutto ama costei e quando si guarda allo specchio arrossisce, talmente è brutto, di guardare la bella donna che ama. Che farà, dunque, per diventar bello? Forse si mette davanti allo specchio ad aspettare che arrivi la bellezza? No, poiché più passa il tempo più diventa brutto con l’avanzar della vecchiaia, la quale ci rende sempre più brutti.
Umanamente e fisicamente dovrebbe ritirarsi, ma se ama veramente e spiritualmente la donna, allora ami in lei la castità, non l’avvenenza del corpo. Cari fratelli, la nostra anima è brutta a causa del peccato, ma essa può diventar bella se si pente e Dio viene ad inabitare in lei. Quindi solo Dio e l’amor di Dio son capaci di far diventare bello (spiritualmente) un uomo brutto (fisicamente). Dio è la Bellezza stessa sussistente. Noi possiamo avere un po’ di bellezza da Dio se lo amiamo, allora soltanto da deformi e brutti spiritualmente diventiamo belli e figli di Dio” (cit., pp. 227-229).
Conclusione
Amare il prossimo è amare Dio, odiare il prossimo è odiare Dio
“Dio è carità” scrive S. Giovanni nella sua prima Epistola. Ora se uno lede la carità, commenta S. Agostino, odia e offende Dio. Quindi se odiamo il prossimo odiamo Dio che è carità. Inoltre se Dio ci comanda di amare il prossimo come noi stessi per amor di Dio e Dio più di noi stessi ma noi disobbediamo a Dio odiando il prossimo odiamo anche Dio (cit., pp. 230-231).
Ecco il perché profondo, logico e soprannaturalmente rivelato del dovere di amare il prossimo.
Pace e bene a tutti!
d. Curzio Nitoglia
Nessun commento:
Posta un commento